Ecco il nuovo disco del Barone VonDatty. Ci piaceva sottolinearlo per quella straordinaria semplicità che ha questo giovane cantautore laziale di scrivere e far suonare qualcosa che d’impatto non ha punti di contatto e riferimenti…non sfacciati quantomeno. Si intitola “Ninnenanne” ed è il terzo lavoro (il secondo full lenght ufficiale) che chiude una trilogia che lui stesso definisce e intitola “Trilogia della notte”. Ed in effetti questa scrittura sembra notturna, sembra riflessiva, sembra intensa di una spiritualità anche frutto di una timbrica vocale che di suo fa un gioco importante. Ma con questo non dobbiamo meravigliarci se troviamo brani solari come “Non credere ai fiori” o la più indie “La pietà” – tanto per fare qualche esempio. Sono 11 inediti che sperimentano il suono e il gioco di effetti, sono 11 istantanee fatte controluce, dove la voce (anche nel modo di essere mixata) rompe il vetro ed esce fuori ma non per scappare…piuttosto per azzittire tutti. “Ninnenanne” avrà presto anche un video ufficiale. Per ora, come sempre, vi invitiamo all’ascolto, alla ricerca, alla scoperta di qualcosa di nuovo. Buona musica sul fronte occidentale…
Ci pare evidente che il Barone VonDatty esce prepotente a coprire l’immagine terrena di….come mai questo “mistero”?
Ci vedi davvero del mistero ? Io ho solo giocato un po’ con le parole, non era mia intenzione nascondere il mio nome, anzi. Volevo però fare un’identità propria al mio progetto che uscisse fuori dai canoni “cantautoriali” del nome e cognome. Tutto qui.
Ho trovato questo disco molto sociale per quanto assai personale nelle liriche. Sei d’accordo?
Potrei dirti di no, perché mi mette in seria soggezione anche il fatto che qualcuno possa in qualche modo rivedersi in canzoni che parlano strettamente di me. Ma credo che forse un messaggio sociale di fondo si possa trovare e credo sia legato alla parola LIBERTÀ. La libertà di poter fare la musica che si vuole e che si ama, con le persone con cui la si vuole fare senza pensare minimamente alle conseguenze, alle logiche del successo. La libertà di raccontare le cose più sentite senza la ricerca forzata di parole che posso attirare l’attenzione e senza cercare per forza di dire quello che qualcun altro vuole sentirsi dire. Sotto questo punto di vista, potrei quasi darti ragione.
Sottoterra spesso c’è solo la morte. L’immagine a cui ci si riconduce sembra essere inevitabilmente questa. Eppure da Sottoterra si possono fare sogni e ninnananne…
Non ancora mai parlato di morte, in senso vero e proprio nelle mie canzoni. Non ho assolutamente paura di farlo, credo sia uno dei temi fondamentali a livello “artistico”, non solo musicale, ma credo anche che sia necessario affrontarlo in un certo modo e non mi sono ancora sentito molto pronto a per quello che riguarda i tre lavori della “Trilogia”. Nel mio caso infatti “sottoterra” è inteso come un luogo “nascosto”, “lontano”, un luogo in cui ritirarsi, no, non sono ancora morto mi pare…
Un risveglio dal “sonno” inteso come omologazione sociale…è possibile secondo te?
C’è sicuramente la possibilità di un risveglio, soprattutto nel mio “campo”, ma deve ritornare in primo piano la “curiosità” e la voglia di conoscere sempre di più, prima di mettersi all’opera. Viviamo in un’epoca in cui la parola cultura è sinonimo di “pesantezza” o di “noia” e questa è una cosa gravissima soprattutto per le ciò che ne consegue, la necessità impellente di un successo immediato e basato sull’apparenza è sintomo di una grande insicurezza di fondo che si annida lì dove non c’è cultura. Inoltre c’è un grande bisogno di sincerità, di dire la verità, di essere onesti intellettualmente, magari dovremmo dire meno ma dire cose sensate e sostanzialmente riguardo cose che conosciamo.