Serena e questo suo disco “Welcome to Westland”. Serena e questo sentire sghembo della vita che non corre lineare soprattutto se osservata dalle tinte noir della notte di una grande città. E poi il divenire nostro, di ognuno di noi che tanto potrebbe somigliare a questo suono un po’ dream un po’ folk, a tratti apocalittico, a tratti sembrerebbe pop. Ma ci sono sfumature di ogni colore e punti di approdo che non potevo immaginare. Un Ep d’esordio non può assolutamente bastare Serena, viste queste premesse che restituiscono una sospensione di mille domande irrisolte nonostante sembrerebbero compiute le intenzioni di questo piccolo nuovo ascolto. Arriva da Londra Serena, italiana che al nostro bel paese restituisce pop di questo modo di pensare alla musica. Un punto di partenza davvero affascinante…
Inquinamento ma anche opportunità. Sporcizia umana e sociale ma anche solitudine personale. Quanto sono connesse queste due cose secondo te?
Credo ci sia un rapporto di co-dipendenza: troppa sporcizia prima o poi porterà ad un inevitabile isolamento sociale. Ma qualora si desiderasse di fare qualcosa a riguardo, implicherebbe l’uscita da questa solitudine per risolvere il problema
Il suono di questo tuo primo lavoro somiglia ad un tuo mondo interiore oppure pensi che sia un mondo da raggiungere presto?
Anche quando scrivo per altri, mi è impossibile non riversare il mio mondo interiore in quello che faccio. E’ una “bless and a curse” come direbbero gli inglesi. Vero anche che il sound di Wasteland ha dominato prepotentemente per un periodo della mia vita e se dovessi raccontare (e lo farò a breve) gli ultimi tre anni con un’altro disco, suonerebbe diversamente.
La distorsione, di ogni apologia, rumore di fondo… mi piace molto questo mood metropolitano, distopico, apocalittico. Eppure esiste la luce per te?
Certo che esiste, senza di essa non ci sarebbero le tenebre e viceversa. In tutte le canzoni che ho scritto fino ad ora, per quanto “cupe”, mi premuro sempre di mettere una piccola luce verso la fine. Non ti mostro che c’è, ma ti guido verso di essa, anche se pensi che non esista.
E sai che penso proprio che sia un disco davvero poco inglese? Decisamente più americano se me lo concedi. Cosa ne pensi?
Non è la prima volta che mi viene fatta questa osservazione. E non credo sia un caso dato che ho iniziato a lavorarci sì, quando vivevo a Londra, ma dopo non molto tempo essermi trasferita dagli States. In questo disco avevo bisogno di dire a gran voce un bel po’ di cose che mi consumavano da dentro, senza troppi fronzoli o metafore davanti e questo pensiero dicotomico è prettamente più Americano che British.
Avrà una dimensione fisica?
Per il momento no, anche perche oggigiorno la musica è consumata per la stragrande su piattaforme digitali, anche se – non appena faro aggiustare lo stereo nella mia macchina – il primo CD che vorrei ascoltare è proprio Wasteland..