Il rock istituzionale diventa pop nelle liriche dei grandi che hanno lasciato un segno verso il popolo. E parliamo dei tempi d’oro di Ligabue e Vasco Rossi ma anche di certe liriche riflessive dei Timoria o qualche bella sognante scorrazzata di tanti come Nek E oggi sfogliamo questo lavoro per mano di un giovanissimo della scena indie italiana: Riccardo D’Avino. Da una Torino pur sempre provinciale, dalla provincia pur sempre italiana, viene fuori un disco dal titolo “Presa d’incoscienza” che è si pop come popolare ma è anche rock come sociale. Un singolo bandiera come “Tutto nel mio nome” la dice lunga sul potere delle parole di D’Avino, sulle immagini che vengono restituite, sui messaggi. Sono appena 6 brani, un EP ma direi che dentro c’è quanto basta per non oltrepassare il limite e sfociare nel banale con questo piglio vocale che rapisce di calore e passione. E ascoltando brani come “Ti aspetto” (questo più di altri) il rimando a quel populismo anni ’90 di cantautorato da radio è immediato e piacevolissimo. Ci sono momenti che la musica arriva quando doveva arrivare.
Andiamo subito dritti al punto: canzone di protesta o canzone di ammissione?
Sicuramente canzone di ammissione, come dice il titolo stesso del mio disco (“Presa d’incoscienza”). Anche se alcuni dei brani che contiene sono delle autentiche ammissioni di colpa, di mancanze nei confronti della società in cui vivo, delle persone con cui ho relazioni o anche nei confronti della mia stessa esistenza.
Pensi che la crisi che viviamo oggi sia diretta conseguenza della cattiva società che noi tutti stiamo costruendo? Insomma come a dire: è il popolo che è vittima della crisi o ne è il diretto responsabile?
Ne è responsabile prima e vittima poi. E adesso ha poco da lamentarsi. E’ proprio ciò che dico nel primo singolo estratto “Tutto nel mio nome”: passiamo giornate intere a lamentarci, ad indignarci di tutto il male del mondo, ma non ci rendiamo conto che siamo noi stessi ad alimentarlo ogni giorno, con il nostro stile di vita, al quale non possiamo rinunciare. La grande crisi economica degli ultimi dieci anni ce la siamo creata con le nostre mani. Abbiamo passato più di 50 anni a partire dal dopoguerra vivendo ben al di sopra delle nostre possibilità e adesso ne paghiamo le conseguenze. E non possiamo certo dire che è tutta colpa delle banche se ci ritroviamo in questa situazione, perchè tanti di noi sono loro clienti e dunque responsabili in maggiore o minore misura. Non voglio far diventare questa intervista un dibattito di economia e politica, ma quella canzone in particolare è nata proprio come sfogo nei confronti dei tanti che ancora oggi continuano a non voler capire davvero come stanno le cose.
Ma il tuo, secondo il mio ascolto, vuole essere più un disco personale. Il tuo modo di vivere in società. Questo disco ti è servito per conoscerti o per farti conoscere?
È servito per entrambe le cose. Conoscere di più me stesso, cercando di tirar fuori canzoni più sincere possibili e cercando di affrontare alcuni temi magari un po’ scomodi ma che da tempo volevo trattare. E ovviamente anche farmi conoscere sempre di più al pubblico, stavolta con brani che, appunto, hanno l’ambizione di essere più diretti, provano a far riflettere su tematiche più importanti rispetto a quelle che trattavo in passato.
Prendo a sputo il bellissimo messaggio che lanci soprattutto con il video del singolo “Tutto nel mio nome”: hai fatto pace con l’altro te?
Non so se ci farò mai pace. Questo “altro me” vivrà finchè, come dicevo prima, continuerò a mantenere il mio stile di vita, che è poi quello di tutti noi. Finchè continuerò ad essere responsabile, anche se in piccola parte, di tutto ciò che non ci piace a questo mondo, sarò sempre in guerra con il mio alter-ego. Ma almeno una canzone come questa mi ha aiutato a rendermi conto che questo losco figuro esiste ed è ben strutturato dentro di me. Forse potrei farci pace se un giorno deciderò di vivere senza soldi e senza un tetto, come un uomo primitivo. Idea peraltro da non sottovalutare…
Oggi che ruolo ha, in genere, la canzone di protesta? Esiste ancora?
Esiste ancora, anche se potremmo dire che non va più di moda. È molto più in voga la canzone dal testo disilluso, che sicuramente rappresenta meglio una generazione dimenticata, sottovalutata, sovraccarica di messaggi e distrazioni come la nostra. Io cerco di pormi a metà tra queste due tipologie di canzone: scrivo testi che sostanzialmente “protestano contro me stesso”, dato che sono io la causa di tanto disagio nel mondo. Credo che protestare contro cose che noi stessi contribuiamo ad alimentare sia un controsenso. Io non voglio fare una rivoluzione, ma voglio far riflettere innanzitutto su quanto ci stiamo sbagliando. Quando l’avremo capito, starà a noi decidere se e quando essere persone migliori e cambiare o meno ciò che abbiamo intorno.