Kombat Folk. Rubo questa espressione spulciando la critica di settore che vuole sempre inquadrare con delle etichette più o meno leggibili a tutti la musica che arriva agli ascolti. E comunque di Folk ce ne vedo davvero poco in questo disco che di quando in quando usa qualche radice popolare per rimarcarne l’appartenenza…ma di spirito Kombat ne trovo in abbondanza e per alcuni versi mi da un gusto e un piacere quasi fosse un sollievo. Fa sempre bene vedere come l’incontro tra musica e pensiero sociale sia ancora vivo, in questa nuova frontiera musicale italiana. Tanti di noi, e soprattutto i miei ascolti, nascono con la canzone d’autore degli anni ’70 ed era quasi un dovere parlare di politica, schierarsi, fare della propria musica una bandiera di partito. Certamente i Pupi di Surfaro non fanno politica in senso stretto, ma è altrettanto vero come da loro proviene un grande disco – questo “Nemo Profeta” – che parla del quotidiano incedere di tutti noi, nessuno escluso. Tra speranze quasi utopiche a sottili rivisitazioni di quella visione delle cose che ci vede marionette di un sistema assai complesso al di sopra delle parti e delle parole. Il tutto parte dalla loro Sicilia e subito brucia km a passi veloci con un suono spesso digitale che incontra i favori di un gusto assolutamente più europeo. Quasi a voler dire che il problema sociale non è solo un impiccio di casa nostra…
Musica di rivoluzione o musica di resistenza?
Siamo “nu kombat folk”. Siamo rivoluzionari, innovativi, provocatori. E siamo legati alle nostre radici storiche e culturali. Contro un sistema che ci vuole tutti uguali, tutti ordinati e ben educati. Contro la fabbrica della musica. Lottiamo per difendere la nostra individualità, la nostra identità ed unicità culturale. Questa è la nostra rivoluzione. Questa è la nostra resistenza.
Cosa pensate se qualcuno vi chiamasse “Musicisti Partigiani”?
Ne saremmo fieri. Prima per il significato etimologico della parola “partigiano”, che per il valore storico e politico della vicenda legata alla resistenza italiana. Siamo “partigiani” perché difendiamo la nostra individualità, la nostra libertà, la nostra autonomia ideologica e culturale, contro un sistema totalitarista che vorrebbe annullare ogni diversità.
Un tempo la musica era sfacciatamente schierata nella politica. Oggi voi la prendete alla larga o forse restate in un confine più etico e globale. Comunque quanto la politica condiziona e/o contamina la musica dei Pupi di Surfaro?
Sosteniamo la gente che lotta, non partiti e ideologie, che della lotta ne fanno un mestiere. Comunque, crediamo che la musica, e l’arte in genere, debba essere di tutti e per tutti. In generale, crediamo che la musica debba agire ad un livello poetico più profondo. Non vogliamo fare cronaca.
Se non foste siciliani secondo voi fareste lo stesso questo tipo di musica? In altre parole quanta Sicilia c’è dentro “Nemo profeta”?
Noi non siamo solo nati in Sicilia, noi siamo del centro della Sicilia, dove convergono e si esaltano le contraddizioni che contraddistinguono un popolo che la contaminazione è il suo dna, fino a raggiungere il paradosso. Non potremmo mai immaginare di essere nati altrove, perché tutti gli altrove sono passati da qui e ci hanno condizionati, arricchiti, derubati. Avremmo fatto la musica di un solo altrove. Invece, siamo convinti che nessuno come i siciliani siano capaci di essere sintesi ed antitesi di secoli di dominazioni e contaminazioni, intreccio di razze e di culture da tutto il mondo.
Bellissima la contaminazione moderna con alcuni strumenti della tradizione. Perchè questa scelta? Un po’ come avere il cuore rivolto a due fronti generazionali diversi?
Il nostro progetto è nato dal folk tradizionale. La tradizione, per essere viva, ha bisogno di rinnovarsi, di trasformarsi. Non volevamo creare un miscuglio di elementi indistinti. Ma raccontare il nostro tempo con un linguaggio contemporaneo, innovativo, rimanendo agganciati alle nostre radici profonde.
Abbiamo abbandonato l’idea che il folk debba essere necessariamente legato all’uso di strumenti e stilemi che appartengono al passato. Del folk abbiamo voluto mantenere lo spirito profondo, legato alle emozioni e i sentimenti che partano dal basso e che colpiscono il pubblico dritto allo stomaco. Il nostro è un progetto legato al passato, che vive nel presente e proiettato nel futuro.
Secondo voi esisterà o potrebbe esistere un mondo senza guerra?
Non sappiamo se esiste e non sappiamo dove esiste. Questo disco racconta dell’uomo, delle vicende umane, di una umanità invischiata e corrotta. Delle sue sofferenze, dei limiti dei paradossi. Dei tentativi di emanciparsi. Dei fallimenti. Pensare a un paese senza guerra? Certo che è possibile. È possibile ed è necessario crederci.
Ed infine vi chiedo: oggi continua ad avere senso lottare? E lottare armati di musica?
Il nostro Nu Kombat Folk si fa carico e raccoglie l’eredità di un lungo filone di band ed artisti che hanno posto al centro del loro impegno l’attività sociale e politica. A partire dal grande Woody Guthrie che ha ispirato Bob Dylan. Negli anni 80 i Clash incidevano il disco “Combat Rock” che conteneva il singolo “Rock the casbah”. Più tardi i Modena City Ramblers davano alla luce il loro primo ep dal titolo “Combat Folk”. La musica è un’occasione troppo importante per essere sprecata in brevi momenti di sterile ed inutile intrattenimento.