Certamente la pandemia segna, ha segnato e probabilmente segnerà ancora per molto l’ispirazione e la radice delle canzoni italiane. Il nuovo singolo del cantautore siciliano, figlio di grande arte diremmo anche. Oreste Muratori ci regala “Nuvole sul divano”, un brano cupo, riflessivo, dove l’immersione si codifica in pensieri e visioni di questo tempo… tempo lontano dalle persone che amiamo, tempo di solitudini imposte, tempo di cose di casa che acquistano altra forma, altri significati, altro peso. Un video e una melodia lirica in chiave decisamente pop, canzone figlia di questo tempo in bilico tra suoni digitali e intenzioni umane analogiche.
Pandemia, restrizioni, distanze e solitudini. Tutto questo ha sfacciatamente scritto la nuova musica italiana. Il tuo nuovo singolo ad esempio… come hai gestito tutto questo?
Il mio singolo è stato proprio partorito dalla pandemia e dalle sue nuove regole di vita. Era da diverso tempo che giravo intorno ad una melodia senza riuscire a trovare la giusta idea testuale. Poi quando da un giorno all’altro mi sono ritrovato chiuso in casa, lontano da tutto ciò che aveva rappresentato fino a quel momento la mia “normalità”, si è proprio aperto uno scrigno che conteneva questo brano. È stato naturale affrontare il tema del distacco, della solitudine e della distanza nei rapporti umani, mi sembravano le sole cose che valesse davvero la pena di raccontare dentro la mia nuova canzone.
Nei suoni invece? Come hai codificato la pandemia dentro la scelta dei suoni da dare al brano?
Ho fatto ascoltare una demo pianoforte e voce a Paolo Leone, mio stretto collaboratore da diversi anni con il quale avevo già realizzato il precedente singolo. Volevamo che il brano mantenesse una linea di sospensione tra la realtà e l’immaginazione, per rendere anche musicalmente la sensazione di incredulità che tutti quanti stavamo vivendo in quel periodo. Quando Paolo dopo diverse prove mi ha fatto ascoltare il suono della sua chitarra filtrato elettronicamente, rendendolo quasi simile ad un synth, ho capito subito che era proprio quello che cercavo e infatti poi è diventato il suono distintivo del pezzo. Rispetto ad altre nostre produzioni stavolta abbiamo lavorato per sottrazione, abbiamo preferito togliere più che aggiungere, lasciare anche dei momenti vuoti, quasi di silenzio, tutta la prima parte del pezzo è rimasta pianoforte e voce, esattamente come era nata in fase di scrittura. Volevamo che il silenzio che circondava la realtà esterna in quei mesi assurdi finisse anche dentro il brano.
Pensare agli oggetti di casa che diventano compagni da guardare in altra luce. Un immagine decisamente importante. È cambiato il tuo rapporto con la casa e i suoi oggetti?
Si è semplicemente rafforzato, dato che ho sempre avuto un legame molto stretto con le piccole cose di cui mi circondo in casa e che mi ispirano tanto nella scrittura delle canzoni. Uno dei versi più significativi di “Nuvole sul divano” è “giri sul bordo di questa tazzina, ti bevo nel caffè di ogni mattina”, perché rappresenta proprio la possibilità che abbiamo di stabilire un contatto con chiunque anche se la vita ci impone una distanza forzata. Gli oggetti di casa diventano strumenti potentissimi per connetterci con luoghi lontani, per avvicinarci e arrivare quasi a “toccarci”. Solo così raggiungiamo il “porto sicuro” che poi rappresenta la via d’uscita dal labirinto della nostra mente, labirinto che Roberto Celestri che ha diretto il video ha poi reso perfettamente girando all’interno del “labirinto di Arianna” di Fiumara d’Arte”.
La Sicilia. In che modo la tua terra ha contribuito alla scrittura?
La mia terra storicamente ha contribuito alla scrittura di grandissimi artisti e sono sicuro che in piccola parte influisca anche sulla mia. Nel caso specifico di questo brano, la tematica era talmente universale che in realtà si distaccava dal territorio che mi circondava, ho cercato il più possibile di comunicare a tutti quanti, a qualsiasi latitudine, anche perchè quello che stavamo vivendo era uguale per ognuno di noi in ogni parte del mondo. In generale ti posso dire che quando scrivo sono influenzato tanto dalla mia Sicilia, vivere in un’isola, sentirsi non solo isolani ma anche a volte “isolati”, nel bene e nel male determina ciò che sei come artista. Affrontare tematiche come il distacco e l’isolamento, vivendo questa condizione da sempre su un territorio come questo, credo che mi abbia aiutato molto. Noi siciliani sogniamo sempre di lasciarci alle spalle questa terra in cerca di miglior fortuna, ma poi torniamo sempre qui. Non lo ammetteremo mai, ma questo isolamento a noi siciliani in fondo piace.
Ed ovviamente un rimando anche al grande Carlo Muratori, tuo padre. E questo ingrediente? Lo troviamo nella tua musica?
Mio padre è come l’ingrediente segreto della Coca Cola, nessuno sa quale sia, ma sa che senza quell’ingrediente il gusto cambierebbe. Nella mia scrittura credo succeda la stessa cosa, io non so dirti come lo troviamo nella mia musica, ma so per certo che lui sia sempre presente, soprattutto nel momento in cui mi metto a cercare la soluzione meno scontata, meno banale, quando scelgo con molta attenzione e pazienza le parole e le armonie giuste. Ascoltare la sua produzione musicale, assistere fin da quando ero ragazzino al suo modo di lavorare la musica mi ha insegnato a non accontentarmi mai della prima idea che arriva, ma a voler sempre scomporre e ricomporre, a voler scavare dentro di me fino ad arrivare alla piena autenticità di me stesso. L’onestà intellettuale di mio padre credo sia stata la lezione più importante che io abbia imparato da lui, se vuoi comunicare qualcosa devi essere sincero, autentico, disposto a guardarti dentro e a portare fuori ciò che hai davanti al pubblico, anche se questo ti fa male. Per me è un dolcissimo dolore la musica, è insieme sofferenza e terapia, due opposti che convivono e fanno a botte ogni giorno dentro ogni artista e di cui io mi nutro per trovare la voglia di vivere e di scrivere sempre nuove cose.