Che poi siamo al 2016 e si finisce sempre per parlare di discriminazione e di “diversità”. Per LEDI, Albanese di origine e genovese di adozione, ha marchiato a fuoco sulla pelle ogni passaggio di questa perenne lotta sociale che la sua famiglia ancor prima di lui misurano ogni giorno, tra conquiste e disfatte. Eppure siamo al 2016…ed è probabilmente tutto questo paradosso e finzione culturale che si rimescola dentro e prende nuova vita dietro una scrittura che sa di pensiero e di introspezione, fatta di grande sensibilità e quell’immatura incoscienza che ad un esordio non solo viene perdonata ma si deve in qualche modo pretendere. Si intitola “Cose da difendere”, un disco dal mood elettronico, riflessivo, industriale per quanto questo possa ricondurci ad uno scenario metropolitano, intimo e a tratti desolato. Eppure il singolo di lancio “Penelope” sa di primavera…ci sono alti e bassi, ci sono strade di pece e arie metalliche, ci sono passaggi testuali che non sono proprio per tutti…oggi in rete, un po’ troppo timidamente forse, gira la title track del disco: “Cose da difendere” è un concentrato di verità. Insomma lo ripeto: la poesia di LEDI non è poi così lontana da una gustosa maturazione…nonostante questo sia un esordio.
Albania e Italia. Un rapporto duro per quanto l’emancipazione ad oggi sembra essere ben dichiarata…eppure?
Eppure quasi sempre, quando si pronuncia la parola “albanese” oppure “ho origini albanesi”, ci sono reazioni strane. La più comune è un “ah”, come se fosse un inaspettato, o comunque una stonatura. I più non hanno quella naturalezza propria di chi è libero, vogliono cambiare discorso.
E restando sempre sull’argomento: questo come e in che misura ha contribuito alla musica che scrivi?
Questa è una domanda complessa. Diciamo che il vivere in un contesto in cui vi era una sorta di “peccato originale” ha fatto sì che, trattenendo per molto tempo diversi aspetti della personalità e forti questioni emotive, nascesse un gran bisogno di esprimersi. In questo senso potrebbe aver aiutato.
Quali sono le tue “Cose da difendere”?
Sono le cose che amo, i miei affetti, la mia musica, le idee, ciò in cui credo ed investo.
Il disco parla di cose essenziali, di valori veri, significati semplici ed etiche durature nel tempo. Eppure la tua musica è assai complessa anche da un punto di vista digitale, quindi in qualche misura sintetico, industriale. Non pensi che sia una contraddizione?
L’elettronica in questo disco doveva parlare della periferia dell’anima così si è andati in quella direzione. In effetti c’è un contrasto forte tra i significati ed il codice espressivo ma voleva rappresentare un piccolo pezzo della nostra realtà, vita dentro in un contesto freddo, industriale, periferico.
Questo disco ti rappresenta nei panni di Cantautore o anche in quelli del quotidiano?
Anche nel quotidiano, assolutamente.
In ultimo: “Voglio tornare al Nord…”. Perché?
Perchè il nord è per me una necessità dello spirito, un luogo dove il sangue torna a casa, una metafora di abbandono e resa all’essenzialità, alla natura di noi stessi.
di Giancarlo Susa