Esordio che ha visto la luce già da diversi mesi ma che in qualche modo è stat rintanato al buio di un cassetto fino a questo primo grande video di lancio immortalato dalla regia di Nedo Baglioni. Parliamo del cantautore toscano Ivan Francesco Ballerini, parliamo di questo disco uscito per la RadiciMusic di Aldo Coppola Neri. Parliamo di “Cavallo Pazzo”, leggendario nativo americano della tribù degli Oglala Lakota vissuto fin verso la fine del 1800. Un disco, un concept che unisce fantasie a letture di una vita, invenzioni narrative alla cronaca di un grande “sterminio” che l’occidente ha perpetrato in nome di una civilizzazione industriale. Un disco che si poggia su arie lontanissime di bel folk d’autore dai suoni “graziosi”, dolci nei lineamenti, caratterizzanti da quelle distorsioni di chitarra che non cercano l’avanguardia rock ma che invece sottolineano un bel tentativo di personalità. Non a caso il suono e la melodia di questo primo singolo estratto “Gufo Grazioso” si rende riconoscibili fin dal primo ascolto. Ivan Francesco Ballerini scrive così una bella favola condita dalla vera storia dei nativi americani, dei loro più leggendari personaggi… ma c’è anche spazio al suo vissuto personale con la suggestiva “Il canto di mia figlia”, dolcissimo ricamo intimo che trova uno sfogo d’amore nella coda strumentale dove, forse per la prima volta, cerca le belle trame pop-rock della grande tradizione italiana.
Un esordio in piena maturità. Che poi esordio non è… c’è molta carriera dietro questo tuo primo disco di inediti, vero?
Diciamo che suono da tutta una vita. La mia grande passione, oltre il canto, è la chitarra, strumento che mi ha affascinato da sempre, che riesce a darmi sempre grandi emozioni. A gennaio del 2019, annoiato di pescare canzoni in un repertorio “vecchio”, mi sono messo a comporre brani miei. All’inizio non c’era un progetto vero e proprio di un concept album tutto legato agli indiani d’America, ma pensavo di comporre un album di canzoni miste. Poi finito di scrivere “Cavallo Pazzo”, “Mio Fratello Coda Chiazzata” mi è capitato di comporre “Preghiera navajo” e di inviarla ad un concorso di poesie della casa editrice ALETTI – MOGOL. Tra migliaia di poesie, questa mia canzone è stata premiata ed inserita in una loro antologia. A quel punto avevo già circa 5/6 brani messi in banca, arrangiamenti compresi, ed abbiamo deciso con Alberto Checcacci, di portare avanti un disco tutto incentrato sugli indiani d’America.
Perché i nativi americani? Figure che ormai in qualche modo si stanno dimenticando nell’immaginario collettivo…
Gli indiani d’America, rappresentano nell’immaginario di tutti noi, il senso di giustizia, di rispetto della parola data, di rispetto per la natura, cose oggi purtroppo spesso dimenticate. Mi è piaciuta molto l’idea di riportare all’attenzione questi aspetti molto importanti della vita, ed in brani come “Penne d’airone” e “Non piangetemi mai”, si sente fortemente questo aspetto.
Cosa rappresenta “Cavallo pazzo” per te? Dietro questa figura, dietro una sua simbologia, che tipo di insegnamento di vita ci hai letto?
Cavallo Pazzo non nasce guerriero, lo diventa in seguito ad accadimenti drammatici che lo investono nella sua vita, accadimenti causati dall’arrivo dell’uomo bianco, usurpatore di terre e di libertà. Descrivendo il personaggio, nella canzone, ho voluto anche esaltare l’uomo oltre che il guerriero. Cavallo Pazzo è stato un personaggio leggendario tra i nativi Americani pur avendo vissuto solo 37 anni. La sua fine, tragica, mostra chiaramente quella che di lì a poco sarebbe stata la fine di tutti gli indiani d’America. E’ morto a seguito di un colpo di baionetta infertogli alle spalle da un soldato giovanissimo. E’ così che finisce la vita di questo personaggio leggendario. Sul finire della canzone ho voluto mettere in dubbio questa storia utilizzando le seguenti parole: “si dice che sia stato pugnalato, ma questo non è stato dimostrato, con qualche freccia e qualche soldo in tasca c’è chi giura di vedermi cavalcare nel Nebraska”.
Spero così di avergli reso un po’ di quella giustizia che non ha avuto in vita.
Ecco un punto interessante: canzoni dei nativi americani, racconti della loro tradizione… ma quanto tutto questo torna attuale oggi? Insomma: quanto di questo lungo viaggio ha dentro morali importanti per la nostra vita quotidiana?
La triste storia di fine ottocento legata agli indiani d’America, di come loro hanno perso la loro terra, loro, non nostra, i loro diritti, la loro vita e la loro dignità, si può vedere chiaramente anche nei nostri giorni, basta pensare a come noi europei stiamo trattando da anni il continente Africano e i loro abitanti, basta pensare a questi continui flussi migratori di migliaia di persone che fuggono da guerre e carestie, per capire che nulla è finito… basta pensare alla Siria. Questo mi ha dato la forza di portare a compimento questo album, per cercare con la musica di risvegliare il senso di giustizia che c’è in ognuno di noi.