Torna in scena il progetto firmato dal moniker Elephantides, ovvero il duo composto da Daniele Sciolla ai Synth e Sergio Tentella alla batteria. Torna un nuovo singolo dal titolo “SEE” che a suo modo promette un viaggio visionario in poco meno di 3 minuti di destrutturazioni digitali, mescole di tempo e di forme in cui, la ciclica ricorsività del tutto, compone un quadro intelligente e davvero interessante. Un progetto che produce stimoli e invita ad una critica visione delle cose, sicuramente una prova ad andare oltre il normale equilibrio prestabilito dalle regole. Il brano che troviamo anche in rete nei tradizionali canali è anche impreziosito da un remix a firma di Indian Wells. Il video ufficiale: una produzione volutamente casalinga ma di un’idea geniale per quanto riguarda il concetto di forma e di timing. Ennesimo prodotto figlio di distanze misurate dallo scorso periodo di lockdown.
Destrutturazione del tempo e della forma. Partendo da questo si rischia di non tornare più a casa. Proviamoci. Cosa significa per voi questo “destrutturare”? Provocazione o ricerca?
Ricerca, assolutamente. L’obiettivo è quello di progredire, di trovare la meraviglia del nuovo e dell’inesplorato. Comunque è anche un percorso molto spontaneo: entrambi sperimentavamo sotto questo aspetto e quando ci siamo incontrati ci siamo subito stupiti di come la filosofia fosse la stessa. Destrutturare ci aiuta a trovare i mattoni fondamentali con cui la musica è stata costruita fino ad oggi. Poi quando li troviamo costruiamo elementi nuovi. Questo concetto è anche alla base del video di “SEE”.
Noi siamo abituati al timing… eppure tantissima musica della controcultura degli anni ’60 e ’70 ci ha provato a cercare altro… cosa manca nel pubblico perché si allinei con altre regole e altre forme?
Non ci sembri manchi qualcosa al pubblico, ma purtroppo a molti “addetti ai lavori”, che decidono un po’ gli ascolti su larga scala (radio nazionali, playlist gettonate ecc). A livello internazionale da sempre artisti di varie generazioni hanno osato e portato su larga scala concetti meno ordinari e più complessi a livello metrico (ne è un esempio Strawberry Fields Forever dei Beatles).
In Italia purtroppo il mainstream è rimasto molto indietro e ha avuto poche spinte verso la ricerca musicale. I discografici puntavano su band più “facili” e il pubblico si disabituava alle forme musicali più complesse: un gatto che si morde la coda per cui si è un po’ puntato al ribasso.
Fortunatamente c’è un raggio molto più ampio di generi, sottogeneri e sperimentazioni poco al di sotto di questa superficie.
E il web sta aiutando molto la scena ad uscire da questo letargo.
Un video davvero geniale. Nato peraltro anche al telefono se non erro… come l’avete pensato e realizzato?
Grazie! Si, ci siamo dati delle direttive per telefono, poi era pure il periodo di lockdown pesante, quindi non avremmo potuto incontrarci neanche volendo. Anche qui i concetti di destrutturazione e ricomposizione sono fondamentali.
Negli anni avevamo già realizzato diversi video in cui si vedeva il nostro setup e ciò che facciamo durante le session in studio.
Abbiamo iniziato separando sempre di più le postazioni finché non siamo arrivati a ricomporre un musicista unendo pezzi di noi due; è stato molto divertente.
Che poi una forma, un filo conduttore, deve esserci dietro questo fiume di suoni… qual è il significato di “See”?
I titoli dei nostri singoli in ordine sono: THE – WORLD – AS WE – SEE – […]
“SEE” è il modo in cui vediamo il mondo musicale, nella composizione, nei video e nel concetto che ci spinge a cercare costantemente un nostro linguaggio per comunicare con gli altri.
A chiudere: secondo voi questo “altro” che mettete in scena, in suono, è strettamente legato all’emancipazione che abbiamo in società? Domanda marzulliana ma sicuramente ricca di spunti…
Oggi i vincoli sono molto astratti. Mentre una volta era difficile reperire certe registrazioni, entrare in contatto con certe scene e ci potevano essere imposizioni dall’alto sui mass media, oggi con pochi click si potrebbe trovare di tutto. Ma moltissime persone tendono a considerare le prime playlist e tracce consigliate da spotify come unica fonte di informazione musicale. Quindi il mercato rimane ancora facilmente controllabile dalle grandi case discografiche. Per un musicista potrebbe esserci la tentazione di voler rientrare in quei canoni per esser tenuto in considerazione dai curatori di playlist ecc. Noi lavoriamo ogni giorno per riuscire ad essere indipendenti e per scrollarci di dosso tutti questi automatismi che ledono l’arte e la creatività.