Da questo disco arriva tantissimo del tempo nuovo, ma anche tempo di quello passato, arrivano le contaminazioni e le visioni future… da un disco come “Songs for the present time” si può risalire al vissuto personale di Stefano Todisco o alle ripercussioni artistiche di Tobia Lamare. Questo suo nuovo disco che sa di America, di paesaggi esotici o di favelas malconce, che sa di folk e di elettronica, che fa del pop e della psichedelia senza soluzione di continuità, suonato e scritto a spasso per il mondo e che dal mondo ha preso anche il mestiere del californiano Nate Bernardini, dei dublinesi Red Kid e della songwriter britannica Mara Simpson. Registrato in una masseria, tra la pietra e il legno. Suona pensando anche alla vita, questa strana alchimia di pelle e di sogni. Suona anche pensando all’amore e non solo al caldo torrido delle pietre… e quindi non poteva essere diversamente, non poteva somigliare ad altro questo nuovo disco di Tobia Lamare.
Vorrei iniziare con una metafora come si deve. Tanto sole in questo disco… ma anche nebbie all’orizzonte. Sei nel mezzo o ti stai spostando verso una delle due direzioni?
In realtà non siamo sempre noi a spostarci verso il sole o la nebbia. E’ molto più facile che ci raggiungano loro ed è più semplice accettarlo piuttosto che cambiare panorama. La musica è il miglior rifugio dalle tempeste, è lo scudo più forte che ho trovato nella mia vita. E’ anche il modo per riuscire ad aspettare che quel grigio ritorni azzurro. Registrare un disco è come aspettare un’onda: puoi provarci anche cento volte, ma l’onda giusta bisogna soprattutto aspettarla oltre che cercarla.
Il legno, le pietre, le registrazioni curate in modo artigianale e tanta contaminazione dal resto del mondo che hai incontrato. Ingredienti che ti sei ritrovato o che hai cercato prima ancora di produrre il disco?
Il disco è nato in viaggio, anzi in molti viaggi. Ho girato molto negli ultimi anni e, anche se sembra banale, riuscire a suonare e a entrare in contatto con situazioni completamente diverse da quelle che respiri ogni giorno è veramente stimolante. Dall’Irlanda, dove siamo al quinto tour quest’anno, a Nashville, Londra, Barcellona, Germania, Bruxelles e tanti altri posti anche in Italia. La vera essenza della musica per me si trova sulla strada. In tour non puoi fare altro che crescere e conoscere. Così mi sono ritrovato nel mio studio a mettere insieme questo puzzle fatto di canzoni scritte fuori e a casa, ed è uscito Songs For The Present Time.
Perché questo titolo così evocativo? Ci vedo significati sociali anche… o sbaglio?
Era un titolo che mi portavo dietro da tempo. Nelle canzoni parlo di amore, vita e morte e il titolo vuole evidenziare il fatto di aver scritto queste canzoni nel tempo che stiamo vivendo. Sono temi universali che trovi in tutte le epoche e contesti. Il cuore però batte da sempre allo stesso e per questo sono anche temi immortali. Stiamo vivendo anni di grandi cambiamenti, imprese eroiche e meschinità giganti. Gli esseri umani hanno sempre amato le contraddizioni e i paradossi. L’evoluzione della comunicazione li hanno messi in risalto, mettendo tutti sullo stesso piano. La democrazia della rete ha dato voce agli imbecilli, l’avidità dell’uomo gli ha permesso di farli diventare famosi. Nel mio disco però gli imbecilli non hanno spazio e parlo del resto.
Parli di due vite che si incrociano, una che arriva ed una che andava via… e non penso sia un modo di dire o sbaglio? Scusa se questa domanda è troppo personale… non voglio essere invadente…
La mia seconda figlia è nata qualche mese prima della morte di mio fratello. Sono stati mesi e giorni di amore pieno, per entrambi. Io e mio fratello siamo stati sempre molto legati. Siamo cresciuti con la musica e abbiamo iniziato a suonare insieme. La grande soddisfazione è stata quella di essere riuscito a farlo registrare nel disco (Ode to the west wind). La malattia si stava aggravando ma era ancora in forma. Avevamo poche ore in un pomeriggio caldissimo di luglio. La piccola aveva quattro mesi e lui le cantava un pezzo blues per farla addormentare. Ha registrato un due tracce di piano elettrico psichedelico. Dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto e forse lo sapevamo entrambi. Il primo brano registrato era dedicato a lui e l’ultimo per Flavia. Nella stessa stanza, con lo stesso caldo, ma un anno dopo.
L’armonica mi porta tra le braccia del folk, le trombe invece mi fanno camminare nei rioni polverosi argentini e poi dentro anche l’industrializzazione con singoli come “Dada”. E tu invece cosa ci senti di bello col senno di poi?
Amo Dylan quanto amo i Cure, che strano binomio. Amo Carole King, Jackson Browne, Springsteen ma anche e soprattutto la soul music. Mi piace il blues, il punk, l’indie degli anni ’80 e ’90. Ascolto gruppi americani come i Replacements e poi la musica latina degli anni ’70. Ho quasi diecimila vinili a casa, ascolto e sogno con tutto. Ho visto tanti concerti e di tutti i tipi. Amo la musica e come diceva Ray Charles non puoi dividere jazz, blues e country, io aggiungo che è lo stesso per rock, punk e new wave.
Quando la terra, la tua terra ha influito sulla faccia di questo lavoro?
Molto. Abito in campagna e cinque km dalla città e a quattro dal mare. La natura mi ha sempre messo a mio agio, dato la tranquillità e stabilità emotiva necessaria per registrare. Ma vedo anche come stiamo distruggendo la natura. A poche centinaia di metri ho il cantiere del gasdotto TAP. Ti stringe il cuore a vedere supportata dal governo un’opera che non vuole la maggior parte della popolazione, che sfrutta energia fossile e inquinante, che è altamente impattante, che è fatta prendendo accordi con uno stato che mette in prigione i rapper e gli omosessuali. Un’opera considerata strategica per un punto di vista economico e non ambientale o di risorse. Il nostro pianeta merita di meglio che essere distrutto per avere il gas a dieci centesimi in meno. La terra e il mare sono i miei elementi, sempre presenti nei miei dischi, nella mia vita.