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SWUNK: ovunque sensazioni di bellezza

Si intitola “Soundscapese” questo disco che regala bellezza, ritmo, passione, contaminazione e decisa voglia di averne ancora. Ma il punto debole lo mettiamo in chiaro da subito: un disco assai lungo, di contenuti e di spunti, di massicce cordate d’ispirazione che però non sempre reggono il tiro con il sex appeal e il fascino. Non sempre… e purtroppo da una traccia di apertura intitolata “Standing of the Shoulners of the Giants” otteniamo l’incanto totale che poi ci viene spontaneo ricercare per il resto delle 7 tracce che seguono e, momenti di questa forza e di questa bellezza ce ne sono pochi. Come a dire: la grande cartuccia se la sono giocati subito abituando il pubblico ad un livello assai elevato che purtroppo richiede conferma e rinnovamento. Non accadendo in modo assai sfacciato dobbiamo sforzarci di non cadere nel drammatico errore di aver ormai il palato indifferente al bello che non sia tanto quanto questo di apertura. Insomma: il nuovo disco degli Swunk è un signor disco e se l’apice di questa scrittura melodica di sax fosse giunta ad una metà ascolto allora avrebbero messo d’accordo tutti. Ma dall’apice non si scende… si reste in quota o forse appena ci si adagia in qualche avvallamento provvisorio. Sono 8 composizioni strumentali che abbracciano il funky, la black fusion, il rock psichedelico (che si usino certi termini con parsimonia, sia chiaro) ma soprattutto un taglio jazz sottilissimo, appena accennato, mai prepotente. Una melodia cantata quasi esclusivamente dal sax di Saverio Giuliano sotto un letto di classico fusion dal taglio internazionale a cura di basso, batteria e chitarra. E se la chiusa di “Solaium” rimanda a trame prog in cui è proprio il sax a farsi da parte, in “118” ci troviamo in uno scenario urban di metropolitane vicende poliziesche in un futuro robotico non troppo lontano. In “Preambolo” c’è il sentore di Claudio Lolli e dei suoi “Zingari felici” con questo ricordavo incedere di chitarra su una melodia di sax che, tra timbrica propria e scrittura, ci riportano inevitabilmente a quei momenti tutti italiani. E puntiamo il dito sulla splendida “Ore 22” di cui la rete ci restituisce un videoclip assai strutturato, una meravigliosa animazione in 3D digitale a cura di Walton Zed che incarna più delle mie parole il senso ed il colore di questa composizione. Ed è probabilmente nella chiusura affidata alla breve suite di 8 minuti circa intitolata “Travel” che riscontro il maggior momento di ispirazione in cui si fa bella mostra di una caratteristica che impreziosisce sempre questo nuovo disco degli Swunk: mai niente e mai nessun momento risulta eccessivo, troppo vanitoso, troppo sfacciato. La bellezza e la pulizia sono sinonimo di compostezza e ordine. E in quest’ultima traccia in cui ritroviamo forse più di ogni altro momento nel disco, quel sapore sussurrato di long e di jazz, quasi alla Pat Matheny, quasi che sia un silenzioso saluto lunghissimo e personale, in cui aver tempo e calma di dettaglio per sfogliare una bella fetta di mondo da cui rubare scenari musicali. Se riuscite a non farvi incastrare dal fascino dell’inizio saprete certamente come apprezzare anche il resto che segue.