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Soul Island: l’io contro il resto del mondo

Un lungo concept sull’analisi sociale di chi siamo e di cosa stiamo diventando. Daniele De Matteis, dopo una lunga genesi di suoni e di collaborazioni, incontra il senso ultimo del suo scrivere e sforna questo primo lavoro personale con lo pseudonimo di Soul Island. Esce “Shards” per la produzione Loyal To Your Dreams. Sono 9 scritture che dal mood punk prendono derive elettroniche di frattali e percorsi ricorsivi di drumming digitali su cui si costruiscono landscapes immaginifici e visionari. Un ascolto lisergico che culla dietro una forma canzone psichedelica la presa di consapevolezza e un guizzo di speranza. Il processo di de-costruzione della morale e del vivere quotidiano, delle tante finte demagogie, del nulla di fatto. Il vuoto concettuale e culturale dei media, il poco che pare abbastanza e quel processo di solitudine che ne deriva. Un disco di deriva che comunica all’ascolto sospensione incerta e domande scomode. Perché pare proprio che il vivere di oggi, in questo bel paese della parola estetica, sia comunque un veleggiare tra nebbie e derive dove l’unica rinascita sia la propria coscienza. Un disco da consumare preferibilmente con intelligenza ed autocritica.

Resto sempre affascinato da progetti così dediti ad una sorta di psichedelica concettuale espressa dietro il suono digitale. Si compongono astrazioni che ognuno è libero di interpretare come crede… a te questo sta bene oppure vorresti he la visione fosse in qualche modo univoca?

Mi fa piacere e mi sta benissimo! Condivido l’estetica per cui le manifestazioni artistiche una volta esposte poi diventano di chi le vive. Sicuramente tutto quello che scrivo è motivato e parte da un’emergenza personale, ma allo stesso tempo chi ascolta è libero di vederci il suo, io per primo sono stato travolto da dischi che ho capito a modo mio, salvo poi scoprire dopo anni l’intenzione degli artisti, a volte con sorprese spiacevoli! Comunque sia l’importante è riuscire a discernere le due visioni così che da ambo le parti non ci siano strane aspettative.

Restando sul tema: il suono digitale, il suono programmato. Cosa significa per te? Non trovi che manchi di quella imperfezione sentimentale che forse è alla base della bellezza umana?

Bella domanda, sicuramente il suono digitale è pericolosissimo. È davvero difficile, quasi irragionevolmente, creare suoni decenti col software. Ed infatti, tutto il mio disco è scritto apposta con sorgenti analogiche! Nel riconoscere i synth digitali, specialmente quelli fatti dai plugin che hanno la grafica iperrealista e scheumorfica, che riproduce mostri sacri dell’analogico, non posso fare a meno di pensare che siano delle simulazioni, quindi non riesco a scrivere perché mi sembrano finti. Almeno così è stato finora per me. Un pò come andare in giro a dire che hai costruito una casa quando è la quinta di un teatro. È triste, a meno che la simulazione non sia esplicitata e faccia parte del contenuto in qualche modo. Ok, è un discorso complesso, quindi chiudo dicendo che non mi piace la disonestà.

Cosa significa “Shards” di preciso? Perché questo titolo?

“Shards” significa “frammenti”, il risultato di una rottura, i parziali di qualcosa, di cui restituiscono l’immagine dopo un processo traumatico. In inglese in particolare la parola identifica frammenti di vetro o altri materiali taglienti, drammatici. Le tracce del disco raccontano momenti e pensieri non facili e di come li ho metabolizzati; c’è poi una vena nostalgica, emotiva, autoriflessiva che per me è raccontata dal fatto che per loro natura questo tipo di frammenti riflettono quello che hanno davanti.

Di tutto il percorso che da Lecce arriva fino a Londra, quale senti sia stato il momento di maggiore contaminazione per questo disco?

Sicuramente Londra, il disco è decisamente metropolitano, le emozioni sono quelle di un Daniele in giro per Shoreditch, a sgomitare fra venues e palchi del Venerdì, lavori da designer in startup iper-ottimiste, fish and chips e code al gate di Stansted. Almeno questo è il mio immaginario al riguardo, ed in questo panorama, l’urgenza di scrivere. Poi ci sono tanti altri posti in mezzo, tipo New York. Un aspetto chiave è però che le idee e le suggestioni di questo disco le ho coltivate per tanti anni, le prime avventure elettroniche le avevo mentre suonavo power pop coi Thousands Millions, a Bologna.

Vorrei chiudere chiedendo: ma se non ci fossero stati i computer, Soul Island esisterebbe? E in che forma secondo te?

Domandone, sicuramente sarebbe esistito. Però, se per computer non intendi solo i “personal computer”, avrebbe assunto una forma un pò diversa, ritmicamente quasi uguale, ma avrei dovuto sostituire tutti i synth con sezioni di archi, fiati, o cori. Sicuramente non me lo sarei potuto permettere!