Ringrazio il loro addetto stampa per aver scoperto la RadiciMusic e tutta una produzione che definire artigianale è ben poca cosa. Oggi che il tempo è figlio dell’industria e dell’apparenza estetica. E dentro la raffinata esperienza di custodire graficamente tutti i loro dischi fisici, troviamo attenzione per i dettagli artistici e per i contenuti di poesia. Ed oggi esce l’ennesimo tassello che coniuga a se l’ombra e l’abbondanza, il piccolo segno e il tratto marcato, il pensiero poetico di metafore e le soluzioni main stream del nostro santo pop d’autore. Ma dal pop come lo intendiamo comunemente, siamo lontani… tanto lontani.
Roberto Sarno, ormai da oltre 20 anni sulla scena indie italiana, partendo dai Dive nel 1987 e arrivando proprio ad oggi, 6 dicembre 2019 con l’uscita del suo “esordio” personale, del suo nuovo disco da cantautore nel pieno dell’immaginario comune. Sintetico e sintetizzato, tra chitarra voce e i suoni digitali custoditi da Marco Mafucci.
Esce “PROVA ZERO”, anticipato in rete dal video del singolo “Il tempo che brucia sull’asfalto” che sarà presentato ufficialmente proprio nella giornata di oggi ad Arezzo presso il Centro di Aggregazione Sociale Tortaia, all’interno dell’evento “AREZZO CHE SPACCA”: sul palco ROBERTO SARNO assieme agli Onion Rings ed Ethel Floon.
“Prova Zero” custodisce i brani della sua carriera che oggi decide di rivestire totalmente a suo modo, con la sua nuova maturità, con la sua nuova “politica” dell’estetica. Dunque le impalcature si fanno scarne di ornamenti pop e si tingono di silenzio e introspezione, ma anche di seduzione con tutta una parte ritmica che arriva dai cavi digitali. Ci ritroveremo anche con un sax e un pianoforte a colorare punti che in prima battuta non avremmo previsto. Ci ritroveremo con quella voce che disegna melodie e modi di fare che ai più nostalgici richiamerà la new wave italiana. Ci ritroveremo con testi che non hanno niente da spartire con le figure immediate della nuova canzone d’autore che tanto gira in questo periodo e che spesso definiamo poetica. Occasione buona e ghiotta per conoscere una nuova versione di questi brani o anche per scoprirli per la prima volta in assoluto. Chissà poi quale sarà la loro vera natura… la loro vera faccia… chissà se è stata questa una prova zero per capire dove proseguire il cammino…
“Il tempo che brucia sull’asfalto”. Cioè il tempo che corre lungo la strada di questa vita?
Il significato è probabilmente un po’ meno astratto, anche se il senso figurato è condivisibile. L’asfalto, che accompagna molte mie giornate negli spostamenti lavorativi, assume molteplici volti. Ad esempio pensa d’estate quando il calore del sole quasi lo squaglia e crea quell’alone fluttuante che si mescola al cielo di luce sovraesposta. O quando piove di notte e il riflesso delle luci sull’asfalto ti ipnotizzano mentre sei alla guida. È come se l’asfalto potesse vivere e raccontare la sua storia; diversa per ogni persona che percorre quella strada. Nel mio caso l’ho sentito bruciare per tutto il tempo in cui sono stato lontano da casa in un momento difficile.
Esce oggi questo tuo “nuovo esordio”… lo chiamo così se penso alle nuovissime facce che hai dentro le tue canzoni di sempre… è un po’ come esordire di nuovo o sbaglio?
Queste canzoni hanno segnato i miei ultimi dieci anni, ho sentito l’esigenza di raggrupparle e amalgamarle in un’espressione più nuova, più profonda e allo stesso tempo essenziale. La provocazione era solo con me stesso, non mi sono posto il dubbio dei giudizi.
Perché dunque questo suono molto nebuloso, molto soffuso come una lampada la sera… perché questo mood così solitario?
È in questa atmosfera che sono nate le canzoni che ho raccolto in Prova Zero. Spesso canticchiando la sera tardi mentre gli altri dormivano, quando ero rinchiuso nel mio studio e ho abbracciato la mia chitarra, quando la luce della mia scrivania illuminava solo un foglio di carta bianca. Marco Mafucci ha saputo rispettare queste emozioni e mi ha aiutato a estrarre questa essenza per amplificarla.
Parlaci della copertina. Che non a caso ha ritratti di persone, di volti… ma sono acquerelli dai contorni indefiniti, sono sensazioni più che immagini…
È l’interpretazione di Francesco Camporeale che ha disegnato ciò che emotivamente ha colto dall’ascolto del disco. Per lui è stato come se ogni traccia dell’album avesse un proprio volto, una propria storia, ma in comune lo stesso stile e i medesimi colori. Tenuamente vivo, ma contemporaneamente inquieto.
E ascoltando questo disco non avrei mai pensato di far parlare così tanto il bianco… mi sarei aspettato più un disco dai colori scuri… tanto per restare in tema…
Istintivamente il nero porta a chiudersi nelle paure, nei dubbi, nell’introspezione, mentre il bianco da spazio alla luce, alle idee, alla voglia di vivere, al desiderio di aprirsi agli altri. Il nero c’è nel mio disco, poco e a tratti molto intenso. Il bianco comunque prevale, il noise che ho usato in sottofondo e i suoni a volte non limpidi volevo che rappresentassero il processo che dal nero portano con fatica verso il bianco.
Quando un disco arriva al pubblico spesso è già vecchio alle orecchie del suo autore. “Prova zero” secondo te ha dimostrato a te stesso quale direzione intraprendere?
Credo che ciò che risulta vecchio di un disco quando arriva al pubblico è l’aspetto esteriore, non l’essenza. L’armonia, la melodia e soprattutto le parole sono il segno indelebile di un’emozione profonda, non tramontano mai. Quello che invece è frutto di un momento contingente sono gli arrangiamenti, la strumentazione, le sonorità, perfino il timbro della voce. Queste ultime cose sono variabili, si possono adattare, modellare e rinnovare continuamente. Certo ho una voglia matta di pubblicare nuove cose, ma ho voluto comunque dare nuova vita a questo trascorso.
E com’è stato ripescare le canzoni del passato? Ti sono sembrate ancora attuali?
Dal mio punto di vista il presente musicale è frutto della veste sonora, come ti dicevo, quante cose “nuove” ci capita di sentire in giro che suonano come vecchie e stantie. Le sonorità e le parole fanno la differenza. Se non fosse così non ci emozioneremmo ancora quando ascoltiamo i Beatles, i Clash, Battisti o De André…
In generale a me sembra che i nuovi stili, e mi riferisco in particolare agli artisti di ultima generazione in senso anagrafico, usino un linguaggio effettivamente diverso, pensa a Young Signorino, che capisco solo in parte e grazie al fatto che ho la fortuna di avere dei figli che me lo “traducono”. Gli autori che sono per me di riferimento si esprimono con la musica e le parole in senso più assoluto e meno contingente.
Per questo nel mio vissuto il rinnovamento della veste di alcune canzoni è stato strumentale per rimarcare dei temi che sento ancora molto vivi dentro di me.