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Riccardo Morandini: sulla superficie delle cose

Sulla superficie delle cose rischiamo di restare e di muoverci sempre. In questo tempo liquido che ci porta via il tempo stesso di tutte le esperienze, di tutte le nostre meravigliose abilità. E nel voler essere ovunque si finisce nel non esserci mai. Riccardo Morandini fa un passo personale verso questa denuncia con un singolo a-temporale dove il corpo diviene espressione, dove la parola si fa esperienza… e dove il suono ricalca le bellezze elettroniche di un futuro che in fondo non è mai arrivato. “La sindrome di Erasmo” sembra pervenuto fuori da quella didattica che Battiato prima e i Siberia poi hanno impacchettato per gli ascolti di queste ultime generazioni. Ci troviamo a cavallo tra l’antico e il profano… aspettando il disco per intero…

Riconosciamo i grandi e meravigliosi labirinti di Villa Barbarigo. Ha un motivo il labirinto per te e per questa canzone?
Sicuramente per un pezzo che parla di molteplici possibilità e percorsi esistenziali il labirinto è un simbolo efficace. Nel contesto del cammino allegorico del giardino di Valsanzibio rappresenta l’intrico delle passioni mondane dalle quali ci si eleva raggiungendo il centro (c’è una torretta centrale sopraelevata), che ci permette una visione aerea e “spirituale” delle cose. Una sorta di viaggio di redenzione e di guarigione, in questo caso dalla sindrome di Erasmo.

Perché la sindrome di Erasmo?
Nel titolo c’è un riferimento un po’ ironico all’Erasmus. Quest’ultimo di solito è un’esperienza molto leggera e divertente, ma si prestava bene a diventare un simbolo-pop di una condizione assai comune nella contemporaneità: il fatto che sia più importante perseguire la realizzazione personale, identificata di frequente con quella professionale, che coltivare i legami affettivi. La sindrome di Erasmo perché, in Italia più che in altri paesi, questa realizzazione si colloca spesso nel vagheggiato eldorado dall’estero e a ragione, dato che in molti ambiti offre concrete opportunità lavorative (e non solo) in più. Nel desiderio di migliorare la propria situazione lavorativa, o nella ricerca di un’evoluzione personale che può apportare la vita all’estero non c’è ovviamente nulla di male. Il rischio da cui il brano mette in guardia è che quest’ultimo si trasformi in una tendenza psicologica morbosa (appunto la sindrome di Erasmo) in cui non si riesce ad abbracciare davvero la situazione di vita attuale perché sempre “distratti” da altri ipotetici scenari più luminosi… e che non si riesca a coltivare davvero dei legami affettivi perché vengono sempre vissuti come un ostacolo a queste possibili svolte.

Sceglieremo mai l’amore in luogo del denaro, della carriera, della collocazione sociale?
L’amore di cui parla la canzone non è solo quello che si realizza nella coppia. Lo vedo come un sentimento che procede per cerchi concentrici, dall’amore verso un altro individuo, a quello verso il prossimo in generale fino all’amore per Dio, inteso come senso di comunione col tutto. Senza dubbio ricordarsi di questa dimensione nella propria vita è fondamentale e ci permette di sperimentare quei momenti di trascendenza dall’individualità e dalla materialità senza i quali l’esistenza diventa arida e routinaria. Penso che affinché l’amore in questa accezione venga scelto più spesso, aiuterebbe una maggiore presenza dell’umanesimo nell’istruzione (letteratura, filosofia, anche l’ora di religione, se fosse insegnata in maniera più interessante). Le nozioni economiche, tecniche e scientifiche sono importanti ma non sono sufficienti per uno sviluppo armonico della personalità.

E a proposito secondo te quel che viviamo, umanamente parlando, è evoluzione o involuzione?
Se parliamo dell’ambito conoscitivo, il progresso tecnico-scientifico chiaramente procede, ma da tempo non c’è la credenza che questo apporti automaticamente un miglioramento sostanziale nell’esistenza delle persone. Certo la qualità della vita migliora e la tecnica e la scienza possono aiutare se utilizzate in maniera etica, ma non sono la risposta. Penso che progressi e regressi accadano in superficie ma che i bisogni fondamentali dell’uomo siano sempre gli stessi.
In ambito sociale e politico mi verrebbe da dire che salvo recenti resistenze, certi diritti siano sempre più diffusi e che ci sia un lento avanzamento dal punto di vista civile. L’amaro retroscena è che siamo tutti più uguali e tutti più liberi solo per renderci volontariamente schiavi del lavoro.

Una produzione analogica… ma con suoni elettronici o sbaglio? Dove sta l’incontro e quanto indietro nel tempo dobbiamo cercarne le origini?
Le soluzioni sono scaturite molto naturalmente da L’amor mio non muore, lo studio di Alberto Bazzoli e Roberto Villa che hanno anche suonato rispettivamente le tastiere e il basso. Il brano è stato registrato su nastro e poi passato in digitale per il mix. La tastiera che caratterizza di più il brano è sicuramente la Logan string melody (tastiera di fattura marchigiana prodotta negli anni ’70 per simulare gli archi). Nel ritornello si aggiungono un moog e un synth Yamaha. Quando ho scritto l’arrangiamento l’ho pensato come se dovesse essere eseguito da archi veri, ma è senza dubbio più efficace l’esito con la Logan. Trovo interessante lavorare mischiando i vari mondi: pensare gli arrangiamenti per strumenti acustici ma suonarli con tastiere e synth, registrare in analogico ma mixare in digitale… chiaramente cercando di prendere il buono di ogni ambito.