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NONNON: l’inganno è un gioco sottile

Questa voce matura e questo suono che richiama trame di Faber maniera, con temi 6/8 o derive balcaniche inaspettate ed interessanti, questo cambiar faccia che incontra la narrazione italiana, senza svendersi in ovvie soluzioni di continuità. Sono i NONNON, band lombarda che vive artisticamente da oltre 10 anni e che pubblica questo nuovo disco dal titolo “L’inganno di un mondo ideale”, pregno di questo suono che non ha la definizione di un pop industriale e neanche la morbidezza analogica di un dialogo americano anni ’70. Quasi trasparente a vederlo da alcuni punti di vista. Si lascia ascoltare anche se è faticoso alle volte stargli dietro. I Nonnon però hanno dato alla luce un lavoro di contenuti, fragili dal punto di vista dell’estetica main stream, profondi e in cerca di attenzione per una codifica fruttuosa… merce ormai rara nei tempi che corrono. Aspettiamo un video ufficiale…

La musica d’insieme che inizia dai banchi di scuola. Una storia molto figlia degli anni ’90 eppure voi siete di questa generazione dei cosiddetti millenials. Cosa avete ripreso dal passato italiano della grande canzone d’autore?
Ciao! Beh, diciamo così… per esposizione e tempi d’uscita affoghiamo nella Z Generation, ma abbiamo le radici saldamente piantate nella X Generation… si ascolta il grande Rock, e la musica italiana d’autore. Ognuno di noi ha le sue passioni musicali. Tolto Luigi (1976), noi altri 5 componenti del gruppo nasciamo tra 82′ e l’89’. Siamo cresciuti tra i millenials, tra sanremo e festivalbar, tra i concerti in playback alla tv, top of the pops e sarabanda.
Avevamo i nostri walkman e le cassettine e i dischi dei nostri genitori della X Generation. Chi ascoltava Faber, Vecchioni, De Gregori e chi ascoltava i Queen, Pink Floyd ecc. Vent’anni fa si girava per localini tra gruppetti punk, grunge e rock’n roll e si emulava i grandi cercando di imitarne i Riff più famosi. Gli anni 90 sono stati e rimangono assolutamente una linea guida. Dal passato italiano, forse, la voglia di dire qualcosa e la cura per il testo sempre più spesso vanificato e vuoto.

Vi ho fatto questa domanda perché c’è tanta tradizione in questi 11 inediti che non è propriamente attuale. C’è tanta musica che ricorda le impalcature di Faber piuttosto che Fossati o Nomadi… quali sono le vostre ispirazioni?
Per noi questo è un complimento grandissimo. Senza la pretesa di essere paragonati a nessuno dei mostri sacri che avete citato ci siamo sempre e comunque impegnati a trasformare un’idea semplice in un progetto musicale; ci è sempre interessato fare musica, senza limitarci a suonarla. L’ispirazione è difficile da delineare.
Diciamo che non c’è un direttore d’orchestra… ci sono sei teste dissimili che hanno il pregio di completarsi. La scrittura e il cantato di certo si ispira al grande cantautorato italiano, ma all’interno della band c’è chi ascolta, rock, elettronica e metal… Cerchiamo una chiave di lettura in tutto questo per esprimere al meglio la nostra personalità senza sopraffarci l’un l’altro.

Ma soprattutto come sono cambiate e anzi come e perché hanno deciso di schivare questa nuova ondata di canzone d’autore digitale?
Non è che schiviamo nulla, ci mancherebbe. Però condividiamo tra noi un concetto abbastanza semplice. Facciamo quello che facciamo perché ci piace farlo e finché ci va di farlo. Questa filosofia non è soggetta ad alcun compromesso e non disdegna eventuali direzioni anticommerciali. L’importante è che il prodotto finale ci piaccia.

Ci sono derive interessanti che non mi sarei aspettato come le scale arabe di “Nea” o come l’intro di “Coryphanta”… ce le raccontate?
L’intro di “Cory” originariamente (e anche nei live) è quel riff che sentite suonato sulle note alte dal basso di Alec. In sala, non ricordo il perché, ma il giro di basso proprio non ci soddisfaceva e abbiamo fatto replicare a Luigi il riff con un piano midi per affiancare un organetto al basso. Poi, per caso, ci è finito sopra quel suono di synth che sentite…e basta, il gioco era fatto!
Il sitar su Nea, dopo la intro chitarra e voce, è una volontà precisa di Paolo (autore della canzone) il quale, all’interno di tutto il brano è alla ricerca di una continua sorpresa musicale… La canzone parla di una trasformazione, una evoluzione e si è cercato di disegnarla anche dal punto di vista compositivo.
Si inizia quasi sottovoce, una nascita nel buio, per poi esplodere, tonalità che ricordano l’oriente, atmosfere dall’aura quasi “sacra”, che si evolvono in derive orchestrali ed elettroniche infine.

Bellissima “Riflessi”, forse il brano di punta del disco… anche qui c’è un fuori pista appena accennato… un brano che sembra essere figlio dell’istinto vero?
Certamente un brano vigoroso, divenire di un’emozione autentica. A volte ci capita di vivere qualcosa di profondamente significativo… se sei uno che scrive testi o canzoni è quasi naturale che da qualcosa di forte nasca qualcosa di potente.
Riflessi è questo; il prodotto viscerale di un amore mancato, di un addio sofferto, una ferita che lascia il segno. Ricordo che la canzone in sala prove è esplosa quasi naturalmente, delle parti sono esplose “urlandole”, Riflessi è un grido.
L’improvvisazione è infine diventata testo scritto è poi canzone. È come scattare la foto a qualcuno che improvvisamente si arrabbia, uno scatto genuino di una reazione violenta e istintiva.

Video ufficiali? Ho cercato ma non ho trovato… colpa mia? E se no, avete in programma una release in questo senso?
Video ufficiali per ora no, ma stiamo lavorando anche in quella direzione e speriamo di sorprendere al più presto anche in questo senso.
D’altronde non è semplice coniugare gli impegni di tutti i giorni, con gli sforzi per inseguire i nostri sogni.