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IKE: il cantiere di questa vita

La Terra è un cantiere in perenne evoluzione ed è questa una metafora che ci arriva ormai da anni e da tanti punti di vista. La vita che si sviluppa in esso è un’arte perpetua dell’incontro e dello scontro dell’uomo, in tutte le sue vesti e in tutti i suoi colori. Isaac De Martin, musicista di lunga esperienza, formatosi a spasso per il mondo contaminando le sue radici di jazz in tanto altro, arriva oggi con IRMA Records a pubblicare “Construction Site” sotto il moniker IKE. Girando il mondo per impegni e costruendosi attorno un “cantiere” ambulante per lavorare a questo disco, rubando strada facendo, suoni, idee, collaborazioni… ed è così che questo splendido disco che celebra la fusion nel suo carattere dominante, troviamo – in ordine di apparizione: Niklas Ahlsved (batteria, Finlandia), Karla Stereochemistry (voce, Serbia), Mauro Brunato (basso elettrico, Italia), Fabio Calzavara (sassofoni, Italia), Nicola Barbon (contrabbasso, Italia), Riccardo Carli (basso elettrico, Italia), Giacomo Li Volsi (arpa, Italia), Hannu Lamminmäki (trombone, Finlandia), Julian Bidner (trombone, Germania), Iva Mabbasta (voce, Nigeria), Alaa Arsheed (violino, Siria), Abagar Quartet (voci, Bulgaria), Krastio Dimov (Kaval, Bulgaria) Alice Vivian (voce, Italia), Tommaso Troncon (sassofoni, Italia).
“Construction Site” è un viaggio, è un cantierei in cui si celebra l’incontro, è un suono coerente di anime diverse la cui musica diviene collante e filo conduttore di un disco davvero molto interessante.

Rapire i suoni dal mondo. Qualcosa di davvero affascinante… nel concreto, come nasce “Construction site”?
Circa 2 anni fa ho iniziato a sentire la necessità di dare una forma all’idea di musica, di suono, di timbro, che tenevo dentro. Ci sono delle emozioni che vivono dentro ognuno di noi ma non trovano facilmente un modo di esprimersi per mancanza di corrispondenza con il linguaggio, ecco, se parliamo di musica, io penso che ogni musicista creativo sa di cosa sto parlando. E quindi ho iniziato ad abbozzare dei colori prima di tutto, che poi si sono strutturati in brani musicali.
Fortunatamente negli ultimi due anni mi sono trovato spesso a girare per l’Europa tra concerti e produzioni e sono entrato in contatto con moltissimi musicisti. Ho condiviso con loro questo mio mondo sonoro e a quelli più entusiasti e talentuosi ho chiesto se volevano partecipare alla registrazione. Hanno accolto, abbiamo registrato, poi ho mixato ed eccoci qua.

E ad incuriosirmi è soprattutto questa copertina che hai scelto. Un ponte verso l’infinito ed oltre… e comunque lascia spazio a molteplici chiavi di lettura…
La copertina è stata una collaborazione in differita di Klaudia Kost e Silvia Toja. Ognuno è giusto ci legga quello che l’immagine suggerisce. E’ un via da o un andare verso, il ponte collega e poi c’è la fertilità rappresentata.

Diventa curioso capire come hai scelto chi per comporre questi brani… dai testi, ai suoni passando ovviamente per gli incastri logistici per far combaciare tutto. Cioè avevi in mente già tutto e hai seguito un tour di appuntamenti prestabiliti o hai lasciato tutto al caso?
Una mappa di come muovermi l’ho sempre avuta, è fondamentale darsi delle scadenze (specie se non si ha una produzione che impone dei tempi) e quindi attenersi ad un programma. Poi ci vuole una cospicua dose di flessibilità. Detto ciò ho lasciato che il presunto caso facesse il resto e quindi ho seguito lo scorrere degli eventi. Qualche appuntamento prestabilito l’ho certamente considerato specie nella fase di missaggio.

C’è molto tedesco in questo disco. Come mai?
Dal 2013 vivo (ultimamente un po’ meno) a Berlino, ho imparato ad amare la lingua tedesca che ha una logica diversa dalla nostra, mi sono appassionato al modo di pensare dei tedeschi e vedo che funziona. Porta a dei risultati eccellenti ma senza affanno. Berlino è una città del mondo, gran parte del disco è stata registrata nel mio appartamento.

Le tue radici sono classiche e affondano nel Jazz. Come tutto questo si tramuta nel suono di “Contruction Site”? Sono linguaggi che apparentemente sembrano distanti anni luce…
Più studio la musica e più mi rendo conto che i vari generi e quindi le varie epoche sono solamente degli strumenti per maneggiare questo materiale che è il suono. Sto imparando a non fare distinzioni o classifiche, tutta la musica del mondo e delle epoche risponde al bisogno dell’uomo di connettersi con una dimensione altra, simile al sogno. Aver nel mio bagaglio esperienze dalla classica alla techno mi da solo più ingredienti da usare.

A chiudere: in questo paniere di mondi e di contaminazioni, esiste un luogo o un linguaggio che rappresenta il tuo personalissimo equilibrio delle cose? Cioè se dovessi chiedere ad Isaac de Martin che musicista è, come si definirebbe?
Ah beh, ditemelo voi che immagine do. Penso nel mondo artistico si stiano imponendo nuove estetiche artistiche frutto della contaminazione in cui viviamo oggigiorno. A me piacciono le contaminazioni purché siano fatte con rispetto e profonda conoscenza dei rispettivi ingredienti altrimenti esce poltiglia che non sa di niente.