Nuovo disco per Giorgio Ciccarelli, un artista non solo poliedrico e di mille sfaccettature, ma parliamo di un producer che ha generato musica che puntava dritto al segno, all’incisione, alla traccia da lasciare ovunque si possa passare. Il tempo che scorre è un testimone da afferrare e da rendere immortale nonostante tutto il resto passi. Si intitola “Bandiere” questo lavoro ruvido, acido, finalmente anche per lui elettronico. La bandiera è un oggetto simbolico che Giorgio Ciccarelli rivoluziona nel modo di guardare, di leggere, forse di celebrare. O probabilmente la chiave di lettura, in questo punk noir psichedelico, è la consapevolezza di tornare alla nostra semplicità di uomini tra gli uomini. Ho sempre pensato che esistono artisti dediti solo all’arte da concepire. Non è una chimera ne un’utopia. Non esistono solo inseguitori di like. Giorgio Ciccarelli è uno di questi. E non ce ne rendiamo conto drogati come siamo da questi maledetti like… che a loro modo saranno le future bandiere…
Di Giorgio Ciccarelli ho una visione artistica dedita all’incontro e alla contaminazione. La tua carriera è vita vissuta nell’incontro. Oggi dunque sei il “prodotto” di questi incontri… hai lasciato al caso o hai pianificato un poco tutta questa semina?
Tutto è successo per caso, ma è davvero limitante parlare solo di “caso”, nel senso che non si arriva a certi risultati solo per coincidenze fortuite. Devi essere inizialmente bravo a segnare e a costruirti un percorso, fatto di coerenza e di gusto, poi continuare a crederci e a seguirlo, con onestà e una buona dose di caparbietà. Così, prima o dopo, qualche occasione “d’incontro e di contaminazione” passerà sicuramente dalle tue parti e tu sarai pronto a coglierla.
Oggi gli artisti nascondo dietro i computer. Una sconfitta, una rivoluzione o chissà cos’altro?
Non mi sento di dire né che sia una sconfitta, né una rivoluzione. Come in tutte le cose, dipende dall’uso che ne fai del computer, che rimane sempre e comunque un mezzo per arrivare a completare un’opera (se parliamo di musica) generata dall’ingegno di un essere umano. E’ la tecnologia che avanza, che cambia e bisogna stare attenti a saperla cavalcare nel modo giusto per non farsi prendere la mano ed esserne poi risucchiati…
Dunque, parlando proprio di attualità: per un desiderio o bisogno di modernità estetica ti sei “piegato” all’elettronica?
È stata una scelta consapevole la mia, una forte volontà di virare e di usare degli strumenti che non avevo mai usato prima. La scelta dell’elettronica è dovuta semplicemente al fatto che avevo a disposizione quegli strumenti, se avessi avuto a disposizione un’orchestra, credo che sarei andato in quella direzione. In linea generale, sentivo proprio l’esigenza di rinfrescare il mio approccio all’arrangiamento delle canzoni e devo dire che mi sono anche divertito parecchio a sperimentare quelle che, per me, erano nuove soluzioni. In questo, una grossa mano, me l’ha data Max Lotti che ha prodotto artisticamente l’album insieme a me e che ha un ottimo gusto nella scelta dell’elettronica e dei suoni dei sintetizzatori.
Che disco è “Bandiere”? Ad ascoltarlo mi verrebbe da usare la parola “anarchia”. Ma in alcuni tratti come appunto “Bandiere” mi verrebbe da usare la parola “ideologia” e in tratti come “Un moderato coraggio” direi che la parola che mi viene alla mente è “comodità”. Dicci la tua…
Se devo trovare un filo conduttore dell’album, direi che Bandiere è un disco che parla dell’ipocrisia nelle relazioni umane e l’ipocrisia ha varie e diverse sfaccettature e si può declinare in ogni ambito del comportamento umano. Dall’ideologia di “Bandiere” (il pezzo intendo), alla comodità nel galleggiare in certi rapporti per non creare contrasti di “Un moderato Coraggio”; dalla fuga dalle parole chiare per sottrarsi al confronto di “Dentro e fuori” alla poca onestà che si ha spesso con se stessi di “Voltarsi indietro”.
Una produzione come “Bandiere” che poggia su infiniti particolari di sottotesto, che comunicazione cerca e che incontro trova in questo tempo del tutto e subito? Mi fa specie scoprire che ormai gli album non si ascoltano neanche più…
Hai ragione, gli album non si ascoltano più e se questo è il nuovo trend, vuol dire che non sono trendy e/o che sto invecchiando, perché io amo il risultato che si crea tra gli equilibri di mille particolari, per me, è proprio questo il succo della questione, il vero goal di un disco. Mi rendo conto che al giorno d’oggi non ha più un senso fare un disco di lunga durata (LP), ma non riesco a farne a meno, né di ascoltarli, né di produrli, per me rimane l’opera finale, conclusiva, dell’arte che più apprezzo.