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FAB: quanto amore sotto questa luna

Si intitola “Maps for Moon Lovers” il nuovissimo disco del cantautore rock calabrese Fabrizio Squillace che in arte è doveroso chiamarlo FAB. Da qui alla Luna sono istanti di un niente e, la musica che viene dolcemente appoggiata sul cuore e che sembra di ruggine e distorsioni, alla fine è solo velluto. Il grido di Fab contro l’impotenza in questo scenario espanso all’infinito è voce di un uomo tra gli uomini che, sotto la Luna o dal massiccio stellare, osserva la vita e la decanta come cosa eccezionale. Il rock d’autore di FAB rigorosamente in inglese che non cerca la rivoluzione ma celebra l’anima in sfaccettature che ormai è doveroso gridare. Un bel disco che troviamo ovviamente sui canali digitali e in distribuzione fisica. Una bella chiacchierata e poi il video di lancio di questo singolo “How high the moon”… è lontana… alta nel cielo la luna…

Un secondo disco per Fab. Doveva uscire. Si sente proprio il bisogno dietro queste canzoni. Tu che mi dici?
La musica nasce sempre e necessariamente da un bisogno. E’ indissolubilmente legata all’esigenza di comunicare, di rendere pubblico un sentimento o un’idea che si faticherebbe ad esternare in altri modi. Scrivere una canzone è un meccanismo complesso e direi quasi ancestrale, possiede una forza mistica e trascendentale. Certe melodie ti piombano addosso all’improvviso e non hai possibilità di schivarle. Ogni musicista sa bene di cosa parlo. Subito dopo l’uscita di “Bless” ho avvertito immediatamente l’esigenza di proseguire il percorso che avevo intrapreso e ho iniziato a scrivere nuove canzoni. Sono stato fortunato perché ho avuto l’apporto indispensabile di musicisti straordinari (Alex Tolomeo, Tommy Donato, Bernardo Procopio, Antonio Guzzomì e Giovanni Caliò). In questo senso “Bless” è stato il primo passo. Dovevano per forza seguirne altri. E ora si tratta di un passo decisamente più lungo, vuoi perché ci sono otto brani inediti, vuoi perché ho avuto la soddisfazione di eseguire la post produzione agli Abbey Road Studios. E’ stato un lavoro lungo, faticoso, ma adesso ne comprendo il senso. Anche a livello grafico ho cercato di creare qualcosa di differente e il booklet che accompagna il disco fisico è una vera e proprio raccolta di opere d’arte. Ho scelto i quadri migliori di mio fratello Dario Squillace (che dipinge da anni) e li ho accostati visivamente ad ogni testo dell’album. Ne è venuta fuori un’operazione davvero interessante. Non c’è solo musica ma arte a tutto tondo.

Quante parole in questi testi. Testi che non vogliono apparire, forse non semplici da comprendere… testi che forse sono “antimeloldici” cioè che ostacolano la semplicità e il ricordo delle melodie? Secondo te?
Non so se siano “antimelodici”, anzi non credo. Sicuramente “Bless” era un disco più immediato a livello melodico, alcuni brani urlavano “ascolta quello che ho da dire” e questa era l’intenzione primaria. “Maps for moon lovers” ha avuto una genesi lunga, così come lunga è stata la sua costruzione. La ricerca dei suoni giusti è stata a dir poco maniacale. Ma i testi raccontano storie e tentano semplicemente di fornire una prospettiva diversa, lontana dal luogo comune, dallo stereotipo. In questo senso sì, sono antimelodici, provano a svelare un punto di vista diverso su alcune faccende umane. Nonostante cio’, brani come “How high the moon”, il primo singolo, ritengo possiedano una immediatezza comunicativa che episodi di “Bless” in realtà manifestavano solo in embrione. E in conclusione posso dirmi molto soddisfatto del lavoro svolto.

Parlami di quel manichino e di quella faccia bianca, che più di tutte le cose che ha e che rappresenta inquieta, perché non ha emozioni. Perché non ha o non DEVE avere emozioni?
Non ha emozioni, o forse le aveva e le ha smarrite con il tempo che scorre. Ci sono storie che esplodono come supernove, brillano di una luce intensa apparentemente eterna ma poi, lentamente, quel chiarore accecante si fa sempre più debole fino a spegnersi del tutto. Rimane solo una piccola fiammella che spetta a noi avere il coraggio di soffocare. L’idea di affrontare il lato oscuro dell’amore mi aveva sempre intrigato, è semplicemente un raccontare la verità prendendola alle spalle, svelandone i contenuti meno luccicanti. Ogni amore porta con sé, oltre alla gioia e alla condivisione, l’amarezza e l’inganno. È un dato di fatto.

Luna. Nel titolo del disco, nel titolo del singolo. Anche in “Minuteman” mi pare di averla intravista…
La luna ricorre volutamente in ogni brano. In fondo stiamo parlando di mappe per amanti della luna… Ma in questo caso è solo uno sfondo momentaneo in una storia presa a prestito dagli anni ’80. Un missile schizzato fuori dal suo rifugio sotterraneo ai tempi della Guerra Fredda. Attraversa il cielo alla velocità della luce, rompe la barriera del suono e sorvola il pianeta con il suo carico di morte. Osserva i continenti, si sofferma sulle nazioni e ride delle divisioni territoriali. “Anche se galleggio così orgogliosamente nell’aria sto precipitando” urla spingendosi nel cielo. C’è un senso profondo e apparentemente celato nel volo di Minuteman, il nome dato dagli americani ai missili balistici nucleari. Un oggetto costruito per portare distruzione che improvvisamente si anima, riflette, si interroga sul meccanismo del conflitto umano e ne attraversa le falle logiche con estremo sarcasmo e cinismo. A due passi dalla luna osserva i bambini che, ignari, battono le mani e i cardinali vestiti di porpora che, terrorizzati dal suo passaggio, smarriscono una fede secolare. La sua missione nasce per delineare un nuovo mondo ma, in realtà, serve unicamente al consolidamento dello status quo. E’ una riflessione amara sulla guerra, sulla tecnologia applicata ad essa e sulle conseguenze politiche dei conflitti.

Se ascolto “Sleep” penso molto agli U2. Sbaglio? E a cos’altro dovrei pensare secondo te… ?
Non sbagli, ho sempre amato gli U2 e nelle canzoni che si scrivono c’è sempre tanto della musica che si ascolta. C’è da dire, però, che preferisco di gran lunga gli U2 dei primi anni, quelli viscerali e appassionati per intenderci, alle recenti produzioni. Oggi li trovo un po’ appannati e affannati, spesso in balia della retorica. Ma rimangono comunque una grande band che ha dato molto al rock contemporaneo. Quanto ad altri ipotetici “accostamenti sonori” mi trovi in difficoltà perché è un’operazione che risulta sempre complicata quella di ritrovare nella propria musica le sonorità di altre band. Lascio questo compito a chi mi ascolta e che riuscirà di sicuro più efficacemente a rinvenire eventuali similitudini. Vi è da dire che negli ultimi anni ho apprezzato molto il lavoro svolto da band quali Arcade Fire, Sigur Ros, Artic Monkeys, e ancora Editors e Interpol. Una nuova scena che è stata capace di ridare linfa vitale ad un circuito rock un po’ a corto di idee.