La memoria crea sempre delle rovine antiche, reperti storici che solo abili cesellatori sanno riportare alla luce…un percorso personale in questa vita che non una volta ci vede come storici e archeologi di noi stessi. Charlie Risso proviene dalla provincia italiana…per quanto ovunque ci si metti a vedere la vita che scorre in questo paese siamo sempre immersi nella provincia. Come a suo modo lo era la grande New York sul finire degli anni ’60 quando Bob Dylan era ragazzino e la musica Appalachiana sembrava dettare le regole di una moda cantautorale che poi (e questo non penso lo avrebbero mai immaginato) ha segnato la scrittura per oltre 50 anni a venire. Ed è da li che Charlie proviene (artisticamente parlando), suonatrice di dulcimer e di canzone folk anche se non mancano i distorsori e qualche momento di sincera psichedelia. Forse…o forse semplicemente parliamo di quel sottile bisogno di tener lontano il futuro e i suoi robot e riscoprire se stessi e le radici antiche di generazioni. Vi presentiamo l’esordio fuori tempo di Charlie dal titolo “Ruins of Memories”. Davvero un bellissimo ascolto…senza tempo…
Tra le “Rovine della memoria” ti sei messa a scavare…di chi è questa memoria? A chi ti riferisci? E cosa hai trovato?
Ruins of Memeories racconta del decadimento dei fasti del passato. Della sicurezza e del calore familiare che appartiene ad un tempo lontano ma che in verità non si è perso e quindi i ricordi sono presenti in chiave agrodolce. E’ un inno alla propria famiglia, una celebrazione degli affetti ma anche quasi un processo di psicoterapia nell’elaborazione dei profondi cambiamenti all’interno del proprio nucleo di casa.
Fuga di cervelli. Tu sei fuggita culturalmente. In un certo senso credi sia calzante come chiave di lettura?
Mi piace considerare il mio progetto come un lavoro decontestualizzato nel quale chiunque si possa identificare
Come hai coniugato il bisogno delle origini alla tua attualità?
Le origini sono importantissime per riconoscersi formarsi e vivere nella contemporaneità aiuta a fondere in maniera spontanea ispirazioni del passato e sonorità attuali.
Non hai pensato di approdare a New York con questo lavoro?
In verità non ho pensato all’America in particolare, mi basterebbe l’europa!
Quindi ascoltando Charlie, direi che la musica è l’ennesima prova di quanto il tempo sia un mero strumento matematico. Ma dal tuo punto di vista, come suona questo disco? È figlio del 1900 o del 2017?
Il disco è una traduzione e fusione di entrambe le epoche. Mi piacerebbe poterlo definire senza tempo.
E nel futuro ci sarà mai spazio per l’elettronica?
Non mi sento di precludere nulla anzi adoro come spesso l’elettronica si possa fondere con strumenti più radizionali come l’armonica o perchè no il banjo.