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Beppe Dettori & Raoul Moretti: incontrando Maria Carta

Un disco pregiato, raffinato, di sollievo e di sostanza. Un disco che plana e che graffia, che volta la faccia al tempo e alle sue regole, un suono che alla fine cambia apparenza in ogni istante. E tutto questo diviene (IN)canto e celebrazione, diviene un ricamo di pura magia. E potremmo proseguire in questo modo perdendoci dentro questo bellissimo lavoro che rivede protagonista la coppia Beppe Dettori e l’arpista Raoul Moretti. Si intitola “(IN)Canto Rituale” il nuovissimo disco che di nuovo parte dalla terra sarda e da essa raccoglie un’importante eredità che significa anche contaminazione di altro. Omaggio alla celebre Maria Carta, attrice ma anche e soprattutto cantante sarda a cui i nostri dedicano questo disco in cui restituiscono luce ad alcune delle sue celebri canzoni e si dedicano a musicare “Ombre”, una poesia della Carta pubblicata nel suo unico libro che appunto si intitola “Canto Rituale”. Dettori e Moretti di nuovo riposizionano in alto l’orizzonte e la fattura di una scrittura musicale che in nessun modo cerca compromessi e soluzioni facili, in nessun modo segue le mode e i cliché. Ci aspettavamo la contaminazione libera che addirittura ha saputo manifestarsi anche nel rispetto del rigoroso incedere della storia di una grande artista italiana.

Partirei proprio da Maria Carta. Perché questo omaggio? Perché ora?
Sono passati 26 anni dalla scomparsa di Maria Carta che ci lasciò il 22 settembre del 1994. Inizialmente volevamo rendere giusto tributo alla sua memoria, nella ricorrenza del 25esimo anno dalla sua morte, poi invece è maturato il desiderio di andare più in profondità. Riscoprire il grande carattere e determinazione, le idee di arte e cultura così vicine a quelle mie e di Raoul, di “contaminare” con sapiente consapevolezza e rispetto LA TRADIZIONE.

Paradossalmente quel che ne viene fuori è una contaminazione che parte da radici essenzialmente molto lontane dalla cantante sarda non trovate? Si arriva all’incontro con lei ma anche ad una codifica – se me lo concedete – moderna e attuale della sua forma canzone…
Si, molto lontana dal Folk puro che LEI cercava di custodire e tutelare, fino al 1980. Da quella data in poi il pensiero di Maria Carta si spinge verso una contaminazione col ROCK.
Album “haidiridiridiridiridin” con l’inserimento di strumenti e suoni molto differenti dalla sua abituale proposta acustica. Quindi basso, batteria, chitarre elettriche, tastiere, fiati e archi iniziano a riempire gli arrangiamenti delle sue storiche canzoni. Studiando il suo materiale, fornitoci dalla Fondazione Maria Carta, abbiamo fatto questa piacevole scoperta, cioè di essere alquanto in linea, almeno sul concetto di “contaminazione”.

E parliamo ora dell’unico “inedito”. Perché la scelta proprio di quella poesia e non di altre?
“OMBRE”, è la prima poesia di una intera raccolta, pubblicate da LANUOVA, quotidiano sardo, tempo fa. “CANTO RITUALE”. Ci ha ispirato, intanto, per intitolare il nostro lavoro “(IN) CANTO RITUALE” omaggio a Maria Carta, poi perché nella poesia si parla di Maria Bambina di 8 anni, già con un carattere bello deciso. A quell’età, si recava, alle 5 del mattino, al fiume per fare il bucato, distante 4 km dal paese di Siligo. Nel tragitto sentiva le “ombre”, cioè i rumori del crepuscolo, scambiati per fantasmi o spettri. Anziché rientrare a casa dalla paura, continuava sulla strada cantando con Voce Delirante, per scacciare le paure e crearsi uno scudo di protezione da l’angoscia. Ci ha colpito molto la sua forza e volontà di andare oltre, fino al fiume, per porre i piedi dentro l’acqua e far cessare il rumore.

Nelle trame sonoro che avete ricostruito e in parte ideato per le canzoni della Carta, in qualche modo “celebrano” la ricchezza della sua voce?
Noi speriamo di avere portato la nostra visione sonora alle sue opere… della sua vocalità sarebbe già tantissimo avvicinarsi di solo un minimo, alla sua. La Voce è uno strumento meraviglioso per far arrivare l’emozione nel profondo di ogni cuore. Ritengo sia una percezione soggettiva, che diventa oggettiva quando porta alle lacrime.

Quanto mondo c’era (e c’è) dentro la tradizione sarda di queste canzoni?
Tutti i brani inseriti nel lavoro “(IN) CANTO RITUALE”, sono delle icone della tradizione sarda, tranne “OMBRE”, l’inedito. Pertanto il nostro scopo era ed è tenere al centro del progetto l’identità sarda che dialoga con altre sonorità e stili. E’ un po’ il nostro sound che scaturisce dall’incontro dell’antico col nuovo, l’arpa con l’elettronica e i loop, la voce con le multifonie e l’acustica folk-blues e rock…un po’ di sale e un po’ di pepe e il piatto e pronto.