Torna ma senza famiglia Andrea Romano, torna Il Fratello, che avevamo conosciuto con quel grande progetto in cui raccoglieva nomi della Sicilia indie che conta e non solo, da Colapesce a Cesare Basile e tantissimi altri. E oggi, “senza questa grande famiglia”, restituisce voce alla sua penna con un mood solitario da cantautore indie ma in modo sghembo… sghembo certamente pensando a questi suoni anni ’60, anni ’70, suoni americani, suoni ruvidi, suoni elettrici ma dolcemente cantautorali. Si intitola – e non con nostalgie al passato – “La famiglia non esiste” – Minollo Records – riferendosi con questa frase a quanto si stiano demolendo i rapporti personali e non solo puntando alla famiglia in senso stretto. Un disco sociale potremmo dirlo, in qualche modo, dalle liriche per niente scontate che cercano la poetica quotidiana e non la prosopopea dei letterati, melodie che si celebrano in rete anche con un bel video di lancio del singolo “Estate di ghiaccio”. Che poi da questa copertina che oggi richiama molto le scene topiche di Joker, risalgono alla mente quei colori metropolitani che sottilmente racchiude Andrea Romano, li coccola e poi li lascia scivolare in una visione nostalgica che ha del mondo e dei suoi abitanti. Un bel disco che presto vedremo anche in vinile…
Ti butto qui le mie impressioni, vediamo che ne pensi… C’è un’aria antica, vintage in questo disco… molte forme di queste scritture mi riportano ad uno strano shoegaze di stampo americano ma anche di quell’Italia Anni ’70…
Per me è un grandissimo complimento. Sono cresciuto con quelle sonorità e il fatto che si percepiscano ha per me molta importanza.
Avere la sensazione di un disco fuori dal tempo.
Secondo me, in questa attualità, siamo un po’ “vittime” del concetto antico di famiglia… e penso che in questo disco, a tratti, venga fuori anche questo, non è così?
Ogni ruolo ha una una componente che ci rende vittime. Vittime di responsabilità imposte, vittime di una morale obsoleta e bigotta, vittime di sgobbare 12 ore al giorno per delle briciole. Sganciati da certi ruoli si vive oggettivamente meglio e soprattutto si vive liberi.
Cito testualmente dalle tue descrizioni: “possiamo rendere questa tempesta un valzer e farci promesse sui mai, ma l’unica parola che davvero conta è il silenzio”. Cos’è per te il silenzio? Una forma di verità o di purificazione dalle bugie?
Il silenzio innanzitutto è assenza di sproloquio. E di questi tempi è molto difficile ascoltare discorsi concludenti e che abbiano un senso.
Inoltre il silenzio è ascolto e partecipazione. Nella vita, come nella musica, è molto meglio tacere se non si ha un granché da dire.
Perché odi le melodie?
In realtà non le odio così tanto. “Odio la Melodia” è una canzone con una forte componente umoristica e un brano con molta melodia nel cantato. Diciamo che sono un tipo più da strofa e mi piaceva sottolineare il sussurrato dei miei racconti.
“In quel parco di stelle” mi riporta tremendamente alle liriche e alle produzioni di Beck in “Sea Change” del 2002… cosa ne dici?
Sono lusingato. “Sea Change” è un disco che ho amato tantissimo (se non mi sbaglio prodotto da Goldrich…).
E a chiudere: trovo particolare cura nei fiati che forse sono il carattere portante per un certo sapore vintage… in generale che suono hai cercato di inseguire?
Il disco è stato prodotto da me e Barbagallo in un piccola villa in campagna in provincia di Siracusa. Abbiamo registrato sganciati dagli orari ferrei dello studio e questo ha permesso di sperimentare parecchio. Molto spesso è la canzone stessa che ti indica la direzione.
Così è stato. I fiati sono stati una necessità indicata dalle canzoni.