Un disco di pop pregiato significa che ha rispetto della pulizia, della credibilità, un disco che sa misurare la voce con cura, nelle chiuse, nella precisione. Ma anche quelle flessioni piacevoli che rendono umano il tutto anche quando è il suono digitale ad imperare. “Danze Cosmiche” suona bene, opera prima di Nereo che mette in scena quest’autoproduzione dentro cui trovare derive ma neanche troppo violente. Indaghiamo, come sapete, attraverso domande che spero possano stimolare la curiosità. Perché quando si parla di pop troppo spesso parliamo in automatico di cose omologate nella forma e nei suoni. Certamente Nereo non rivoluziona alcuna scuola… ma la capacità di essere qualcuno di diverso può aversi anche stando dentro i recinti? Cosa ne pensate?
Esordio discografico che arriva oggi, dopo anni di gavetta e soprattutto ad una maturità anche di vita vissuta. Come mai proprio ora?
La musica matura lentamente, se non hai nessuno che ti spinga, per ragioni commerciali, a produrla. Essendo, poi, “Danze cosmiche” un album autoprodotto, ho atteso di mettere da parte qualche soldino, non posso nasconderlo.
Guardando al passato invece, come trovi che la musica ti sia cambiata addosso?
Domanda difficile ma che spero si colga la vera chiave di lettura… La mia musica ha attraversato le fasi del divenire e della speranza, del tempo imperfetto. Poi, è cresciuta e si è portata dietro i fantasmi del dolore, per ritornare, infine, alla speranza. È stata una gestazione lunga quella delle danze del cosmo, di preistorie, ere melodiche, arrivi inaspettati e progressi.
Presente e futuro. Le nuove tecnologie, i suoi suoni, ma anche i nuovi modi di pensare e di fruire alla musica. Mi sembra di capire che non fa parte tanto del tuo modo di stare al mondo o sbaglio?
No, l’ho detto più volte. Non mi piace la musica “nuova”, non mi piacciono le nuove leve del pop, ma devo farci i conti. Devo cercare di adattarmi, per quanto possibile. La mia idea di cantante, cantautore, viene dalla voce, e trovo approssimativo e irrispettoso il giudizio di chi, non riconoscendo nei brani tendenze modaiole, bypassa l’ascolto. Penso sempre che un ascoltatore intelligente debba arrivare all’intento di scrittura, spingendosi oltre la soglia.
E se così fosse, cosa pensi che resti ancora alla musica come carta da giocarsi per il pubblico?
Pubblico che indubbiamente oggi vive solo sui social…
Se alla musica resta qualcosa? Non saprei. Auspico un ritorno alle grandi voci, alla tecnica, al virtuosismo che emoziona, allo studio, alla sostanza.
Un titolo davvero lontano nell’immaginario a quello che troviamo nel disco e a quello che poi è quello che mi lascia immaginare. Anche la copertina gioca un ruolo simile… ci hai mai pensato? Che ne pensi?
Ho scelto quel titolo perché credo il canto sia il nesso privilegiato tra uomo e natura, uomo e universo, uomo e Dio. Ci sono pezzi nati poesie e cresciuti canzone, ci sono preghiere, disperate invocazioni, l’urlo che si transustanzia in parola, atmosfere raccolte, guizzi elettronici, c’è tutto. L’apologia del movimento, le coreografie dell’anima e del cuore.