Lui è Francesco Cavecchi, in arte Carsico. Cantautore, storyteller come direbbe il dizionario delle scuole classiche. E il suo DNA, la sua forma canzone, deve molto a quel mondo, a quel repertorio che da Dylan a Damien Rice, abbraccia quel certo modo di fotografare la vita, dentro stilemi di chitarra acustica in fingerstyle davvero preziosi. E in questo disco dal titolo “Terra/Cielo” il discorso diviene più ampio visto il pregiato ricamo sonoro condotta dalla produzione di Manuel Volpe. Dunque questo sembra diventare un disco apolide, non solo dentro gli stilemi ma anche dentro il tempo e la geografia. Elettronica delicata, sfumature world affascinanti, quel ricamo anche italiano che si fa intimo e crepuscolare. La voce di Carsico poi, come un fiume sotterraneo che poi torna alla luce.
Pensando al titolo di questo disco mi viene in mente, d’istinto, al nome che si danno a certe case che si sviluppano in altezza più che in larghezza. So che l’accostamento è assai estetico ma penso di poterci trovare un nesso… cosa ne pensi?
Ha un senso, è vero; la rayuela, la campana, si sviluppa dalla terra al cielo, dal basso verso l’alto. Nel disco si parte da piccole riflessioni personali per poi tentare l’accesso ad un universo più ampio, maggiormente condiviso.
Torniamo al disco. Un folk pregiato se mi consenti la critica. Alte scuole che nel DNA porta i connotati dei grandi classici ma il suono ha davvero una direzione autentica, anacronistica, apolide. Un incontro difficile da spiegare. Come la vedi?
Grazie, intanto…i modelli sono fondamentali, ed è fondamentale non aver timore di omaggiarli, con orgoglio e rispetto, come avviene in un paio di brani. La direzione sonora e musicale, per il resto, è invece merito di Manuel Volpe, che ha arrangiato e prodotto magistralmente il disco. La commistione, la direzione anacronistica e apolide vengono da lui, dalla sua idea di musica, dal suo ricchissimo bagaglio, il gusto assai raffinato.
I personaggi di questo disco chi sono? Vita vissuta in prima persona o maschere, allegorie dei messaggi che la vita ci porta?
Entrambi, senza dubbio…Avevo una grande ambizione riguardo la scrittura dei testi per questo lavoro: cominciare dal “personale”, il piccolo cortile di fronte casa, per giungere, infine ad uno spazio molto più vasto, che sapesse abbracciare esistenze, esperienze, dolori e riflessioni altre da me.
Come approdi ad una simile spiaggia, ad un simile disco? Con quali aspettative, con quali speranze? Domanda che ovviamente rivolge uno sguardo al tempo di oggi, di indifferenza e di totale appiattimento verso l’espressione individuale…
L’unica aspettativa, l’unico obiettivo, era quello di fare un bel disco, semplicemente. Un piccolo mondo da esplorare ora e domani, e dopo. L’espressione individuale è al servizio di quel nucleo di onesta bellezza che possa essere patrimonio di chi sceglie di ascoltarlo, non ci sono “lezioncine” stucchevoli e non richieste, neppure una qualche sottolineatura di presunte verità o grandi epifanie, piuttosto riflessioni e domande. Viviamo in tempo di alfieri delle certezze e delle verità assolute, pure urlate sguaiatamente, le lascio volentieri a loro, io non le conosco.
Tanti colori scuri dietro questo suono. È un caso, un’impressione estetica? Oppure ci sono legami diretti con il tuo modo di stare al mondo?
Molti colori scuri, vero, ma anche piccoli bagliori di una luce, pure lontana, da inseguire. Non è un caso, naturalmente, e sì, è anche espressione di un pezzo del mio modo di stare al mondo…i cantautori non saranno tutti cuori leggeri, certo, ma nemmeno dei depressi lieti di crogiolarsi in un qualche cosmico dolore..