Tanta la passione che scivola dentro questo primo lavoro di Filippo Gabbi in arte Gabber. Si intitola “Luna” ed è emblematico e romantico il richiamo poetico di questo nostro satellite… ed il romanticismo diviene protagonista dentro le liriche e attorno alle melodie che si vestono di tutte quelle sfumature che dal pop conducono verso un rap e una trap di periferia, di strada, inevitabilmente noir e digitale di suoni ampiamente curati… ed ecco una maturità che, seppur ancora lontana da quella personalità completa e formata, sa giocarsi un mestiere che non ci si aspetta facilmente… dalle opere prime intendo!!!
“Luna”. Decisamente un titolo d’autore. Cos’è per te la luna, cosa rappresenta… l’infinito della fantascienza o la quotidianità delle cose importanti?
Al di là della bellezza della Luna inteso come il nostro satellite e oltre al fatto che da sempre suscita in tutti una forte attrazione con ciò che siamo, io con “Luna” ho voluto esprimere un concetto:
infatti, così come noi vediamo rivolta verso la terra sempre la solita fisionomia della Luna che cambia attraverso le ombre nel corso dei giorni che completano il ciclo lunare, il mio disco è una rappresentazione di me, di tutto ciò che mi compone. Ogni canzone è una fase diversa, come succede per la Luna ma dietro, alla fine del suo corso, sono sempre rappresentato io.
C’è della trap, del rock, del pop… tante derive ugualmente personali. Ma la tua vera radice?
Io vengo dal Metal e dal Rock, in passato ho fatto molti palchi con la mia band da teenager e nei miei “early twenties”. Questo però non esclude il fatto che da sempre, sono stato vicino ad altri generi come il Rap, il Pop, il cantautorato e l’elettronica.
Questo progetto, Gabber, mi da’ l’opportunità di esprimermi a pieno e di fondere tutto ciò che ha da sempre composto il mio bagaglio musicale e sperimentare anche altro che finora non conoscevo.
Prendo spunto anche dal video di “Luna”, la title track del disco. Speranza contro un periodo buio… quanto ha contaminato la scrittura questa pandemia?
A livello di testi direi per niente, non ne faccio mai menzione. Per quanto invece riguarda il tempo a disposizione che ho avuto nel comporlo, tanto.
Il difficile è stato collaborare con le persone che hanno fatto parte del disco, dal feat alla costruzione delle strumentali che sono state portate avanti a distanza tra me e Rob The Child, la persona con la quale ho composto insieme le musiche. Essendo lui di Brescia ed io di Parma, abbiamo dovuto lavorare distanti.
Non mi lamento però in quanto abbiamo ottenuto al 100% ciò che intendevo.
Elettronica sicuramente come elemento portante… cosa di analogico, di reale in questo disco oltre ai tuoi sentimenti e alla tua voce?
Le chitarre, le batterie e il basso nei pezzi più vicini al Rock, e tutto il processo di composizione naturalmente.
Per quanto il digitale possa dare una mano ogni canzone parte sempre da un foglio bianco.
Voce che comunque hai trattato come da cliché per il genere. Vero?
Sicuramente alcuni pezzi sono più vicini ai generi che sono in voga oggi. Tuttavia penso ci sia molto di personale nel disco e anche nel pezzo più convenzionale come può essere il singolo di lancio (Luna, appunto) si può trovare del personale sia nelle lyrics con il ritornello cantato in inglese, alle citazioni agli Evanescence, il riferimento al primo pezzo che abbia mai scritto (Night) al crescendo della strumentale nel finale.
Gli altri pezzi differiscono abbastanza invece da ciò che potrebbe essere la Trap convenzionale per spostarsi in ben altri generi: dalla Trance di Tutto Qui Quello Che Sai Fare, all’elettronica pesante di Buio, l’ambient di Reynisfjara o il cantautorato di E’ Normale.
In conclusione quindi non penso sarà un disco con una data di scadenza vicina.