Niente di nuovo sotto il sole direbbe qualcuno. Ci ritroviamo dentro le trame dell’indie pop che sembra aver problemi a staccarsi da quel cliché anni ’80 e ’90 che ha fatto tendenza e sinceramente non ne capiamo troppo le ragioni. E dunque è su questo terreno che ci si misura l’io artistico di molti, giocandosela tra soluzioni personali che possano mettere in campo i vari modi di interpretare la storia. E se vogliamo anche questa è una “rota” per citare il buon Stefanelli che raccoglie la sua carriera e le sue ispirazioni (da cui svetta il buon Peter Hook della scena punk e post-punk inglese) e ne fa un disco figlio di queste restrizioni nella sua produzione analogica di registrazioni su cassette, di suoni casalinghi, di post produzione digitali e di video lo.fi. In tutto questo c’è un down-tempo che decanta quella calma e quegli spazi larghissimi a cui non eravamo più abituati e su questo punto striscio il mio evidenziatore: quanto bravo è stato Stefanelli nel restituire un suono alle “nuove abitudini” temporali e umane di questa nuova condizione sociale. “No Coffee” forse manca ancora di quell’estetica pop tale da segnare un passo decisivo ma sicuramente è un disco di personalità, semplice, fragile ed umanizzata nonostante i suoni vintage di un cliché digitale che forse non sta andando più di moda come tempo fa. E questo penso che ad un artista come Stefanelli interessi davvero poco. Indaghiamo dunque…
Curiosa questa immagine di copertina. Un pop art che però nella cornice forse dici molto altro… non so… mi aiuti?
Non credo di essere la persona adatta per rispondere a questa domanda. Dovremmo piuttosto chiederlo a quel dannato di Michele Feniello che si è occupato di tutto il progetto grafico del disco. Ci sono state millemila telefonate in cui gli ho spiegato tutta l’estetica del progetto e la finalità e lui per tutta risposta ha fatto questo. È tutto pazzo al punto giusto.
E perché “No Coffee”? Come a dire: basta restare a casa a bere caffè?
È un modo per dire che fare le cose nel modo giusto è un lavoro che richiede tempo e certo la fretta non è una buona consigliera. Da sempre faccio una vita abbastanza movimentata e mi muovo tra gli impegni quotidiani che non sono pochi e quindi mi armo di una buona dose di caffeina per sopravviere a tutto ciò. Con il lockdown all’improvviso quella routine è stata spezzata. Ho imparato in quei mesi a stare in casa tranquillo e anche a rinunciare al caffe’. Così sono nati i brani.
Un disco ancorato al passato o sbaglio?
Direi senza troppa vergogna si. Mi piace tantissimo tutta la musica degli anni 80 e su tutti i New Order. Soprattutto per il ruolo del basso, ho studiato molto Peter Hook che reputo formidabile.
E questa voce sempre sommessa, silenziosa, che non osa mai… sospesa come tutto il sound… come il tempo suo immagino… vero?
L’intero concept è basato sulla calma e quindi sia la musica che la voce non potevano che esser da meno. Ho lavorato molto sull’interpretazione dei brani cercando di trasmettere serenità.
Un disco nato in casa? Oppure ha una genesi di “gruppo” in qualche modo?
Il disco, come dicevo, nato interamente in casa. Non potendo scendere ho lavorato unicamente con gli strumenti che avevo con me, un basso, una tastiera, una drum machine e un stereo a cassette per amplificare il tutto. La fase successiva è avvenuta insieme a Massimo De vita (voce e penna di Blindur) che mi ha aiutato sia nella produzione che nei Mix. Il mastering è ad opera del bravissimo Eugenio Fabiani.